lunedì 21 giugno 2021

Recensione "Circe" di Madeline Miller

Buongiorno a tutti! Oggi sul blog la recensione di un libro uscito all'inizio dell'anno e che ha avuto un acclamato successo. Parlo di Circe, la strega che trasformava i poveri marinai in maiali... Monica l'ha letto e il suo entusiasmo mi ha quasi fatto pensare di leggerlo anch'io ;)
Titolo:
Circe
Autore: Madeline Miller
Genere: Miti, Narrativa
Pagine: 416
Editore: Marsilio
Data di uscita: 14 gennaio 2021

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Ci sembra di sapere tutto della storia di Circe, la maga raccontata da Omero, che ama Odisseo e trasforma i suoi compagni in maiali. Eppure esistono un prima e un dopo nella vita di questa figura, che ne fanno uno dei personaggi femminili più fascinosi e complessi della tradizione classica. Circe è figlia di Elios, dio del sole, e della ninfa Perseide, ma è tanto diversa dai genitori e dai fratelli divini: ha un aspetto fosco, un carattere difficile, un temperamento indipendente; è perfino sensibile al dolore del mondo e preferisce la compagnia dei mortali a quella degli dèi. Quando, a causa di queste sue eccentricità, finisce esiliata sull'isola di Eea, non si perde d'animo, studia le virtù delle piante, impara a addomesticare le bestie selvatiche, affina le arti magiche. Ma Circe è soprattutto una donna di passioni: amore, amicizia, rivalità, paura, rabbia, nostalgia accompagnano gli incontri che le riserva il destino – con l'ingegnoso Dedalo, con il mostruoso Minotauro, con la feroce Scilla, con la tragica Medea, con l'astuto Odisseo, naturalmente, e infine con la misteriosa Penelope. Finché – non più solo maga, ma anche amante e madre – dovrà armarsi contro le ostilità dell'Olimpo e scegliere, una volta per tutte, se appartenere al mondo degli dèi, dov'è nata, o a quello dei mortali, che ha imparato ad amare. Poggiando su una solida conoscenza delle fonti e su una profonda comprensione dello spirito greco, Madeline Miller fa rivivere una delle figure più conturbanti del mito e ci regala uno sguardo originale sulle grandi storie dell'antichità.
Il bello della lettura è che dà sempre modo di rivedere le proprie opinioni. Ho letto questo libro perché mi è stato chiesto di recensirlo altrimenti non lo avrei mai preso in considerazione in quanto quando scelgo un romanzo preferisco che sia ambientato nel mondo reale e, possibilmente, contemporaneo. Riconosco che questo è un mio limite.
Quindi ho iniziato la lettura carica di pregiudizi e per nulla ben disposta ma, a mano a mano che scorrevano le pagine, mi sono proprio dovuta ricredere.

Innanzi tutto la storia è scritta molto bene, nel rispetto della grammatica e senza giri di parole o ghirigori inutili. Uno stile asciutto, preciso e pulito che mi è piaciuto davvero tanto. Questo per quanto riguarda la forma, per quanto riguarda i contenuti diciamo che i miei ricordi scolastici di Circe, piuttosto vaghi data la quantità di anni trascorsi, me la dipingevano come una maga cattiva che trasformava gli uomini in maiali per sottometterli al suo volere. Ecco che invece, pagina dopo pagina, mi trovavo a fare i conti con la sua umanità e la sua fragilità, forse alimentata dall'essere cresciuta elemosinando attenzione e amore da due genitori troppo egoisti per considerare altri al di fuori di loro stessi e derisa dai fratelli per il suo aspetto e la sua voce.
L'averla fatta sentire imperfetta, secondo i canoni divini, ha certamente contribuito a farle sviluppare empatia e interesse per le sofferenze e le imperfezioni altrui. In particolare la sua attenzione per le cicatrici di Glauco, Dedalo e Ulisse mi ha ricordato l’usanza giapponese di aggiustare con oro o argento liquido, gli oggetti in ceramica, cosicché dalla loro imperfezione possa nascere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e interiore. Circe interpreta proprio così le cicatrici sulle mani e sul corpo di quegli uomini che ha amato. Troppe volte però la sua bontà e la sua empatia non vengono ricambiate e questo la porterà a scoprire il potere che non sapeva di avere e che le costerà l’esilio sull’isola deserta. 
Quante delusioni può sopportare una dea?
Quante delusioni può sopportare una donna?
A questo punto della storia Circe non è più una dea ma è una donna. D’altro canto in fondo non è forse vero che ogni donna è comunque un po’ una dea? Io credo di si.
Circe non si abbatte, non le manca la vita di palazzo che lei ha sempre vissuto in modo molto marginale e su quell’isola coltiva e affina il suo potere e per molto tempo non sente il bisogno di compagnia. Quando questo succederà diventerà vulnerabile. 

La vedremo, quindi, accogliere l’equipaggio di una nave in avaria, offrendo cibo ed ospitalità. Ancora una volta non avrà in cambio gratitudine, anzi. Superato lo schifo, Circe trasforma quegli uomini in ciò che realmente sono: maiali. E continuerà a farlo ogni volta che approderà una nave sulle sue spiagge inseguendo un bisogno inesauribile di vendetta fino all’arrivo di Ulisse che con la sua fluente dialettica saprà conquistarla e intercedere per i suoi uomini. 
Ho trovato bellissimo il passaggio in cui Circe risponde al grugnito con cui quei marinai trasformati in maiali sembrano dirle di essere dispiaciuti con queste parole: “Vi dispiace? Vi dispiace essere stati catturati... Vi dispiace avermi creduta debole, ma vi siete sbagliati.”
Circe ha preso consapevolezze della condizione femminile nella società e nella letteratura e lo esprime benissimo:
“Le donne umiliate mi sembrano il passatempo preferito dei poeti. Quasi non possa esistere storia senza che noi strisciamo e piangiamo.”
Questa consapevolezza e la volontà di non voler più essere umiliata né mostrarsi debole le farà vivere la storia con Ulisse in modo estremamente libero ed attuale.
Non supplica per avere ciò che lui non può o non vuole darle ma gode appieno di ciò che può avere per il tempo che le è concesso.
Accoglie la maternità, che ha cercato con determinazione e senza parlarne con Ulisse, con gioia e coraggio e non teme nemmeno di mettersi contro la dea Atena per proteggere suo figlio.
Anche come madre Circe si dimostra umana tanto da affermare che
“forse nessun genitore riesce a vedere davvero i propri figli. Quando li guardiamo vediamo solo lo specchio dei nostri errori.”
In questa storia, che parla molto della condizione femminile, non poteva mancare anche la narrazione di una bella famiglia allargata, che funziona bene grazie a due grandi donne che dialogano in modo chiaro e sincero, aiutandosi e superando ogni conflitto per il bene dei figli. 
Per finire Circe ci regala una riflessione su quello che deve intendersi con il vivere: nuotare nella corrente, camminare sulla terra e sentirne il tocco sotto i piedi... fa male, fa paura... ma è questo che significa essere vivi. 
Per questo vivere richiede coraggio. Anche di fare scelte che gli altri difficilmente potranno capire. Circe ha sempre pensato che la condizione divina fosse l’opposto della morte, ma...
“adesso vedo che sono più morti che altro, poiché sono immutabili e non possono trattenere nulla nelle mani.”
Giunta a questa conclusione si chiede se valga la pena essere immortali ritrovandosi sempre a mani vuote e con molto coraggio decide di prendere in mano la sua vita costi quel che costi.
Penso sia chiaro che questo libro mi è molto piaciuto e quindi mi sento di consigliarlo caldamente e di assegnargli tutte le stelle disponibili e pure la lode.
Buona lettura.

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