Le megere lagnone
Mi chiamo Benjamin Stroke e non amo ridere.
Per un Cacciatore di Mostri le occasioni per ridere sono più rare di un licantropo con l’alopecia e, secondo il mio modesto parere, più inutili di un negozio di cappelli a Sleepy Hollow.
Non c’è molto da star allegri se il tuo lavoro è dare la caccia a esseri terribili, pronti a sbranarti alla minima esitazione. Forse non lo sapevate ma il detto “il riso fa buon sangue” l’ha inventato Dracula.
Noi Stroke non siamo dei bontemponi, le uniche battute di spirito che ci interessano sono le ricerche di fantasmi nei cimiteri sconsacrati. Non ridiamo mai, nemmeno in foto.
Ricordo con tenerezza quel povero fotografo che si mise in testa di scattarci un’allegra foto di famiglia: al suo ennesimo invito a sorridere, mia sorella Evelyn, detta la Musona, gli scagliò contro una forma di pecorino. Il poveretto non si è più ripreso, si scoprì che era allergico al lattosio.
Non mi sarei mai aspettato di dover usare l’ironia per risolvere un caso.
Ma questo è successo dopo che sono passato nell’Aldiqua e ho incontrato quel piccolo esserino luminoso che risponde al nome di Luna.
La storia di stanotte è senza dubbio la più spassosa che sentirete raccontare da un fantasma e si intitola “le megere lagnone.”
***
Era una notte come tante a Villa Lugubre, mi ero appena svegliato ed ero di pessimo umore.
Pernacchia, Disastro e Sberleffo avevano scoperto la loro vena musicale e si erano procurati alcuni vecchi strumenti. Da qualche tempo avevano deciso di torturare le mie povere orecchie con note dissonanti, tamburi fuori tempo e strimpelli stonati.
“Non lo capirò mai il Jazz” dissi a Mr. Jingles mentre lo raggiungevo in cantina, alla ricerca di un po’ di pace.
“Squiiiit, squit!”
“Si hai ragione, per fortuna non ho le orecchie. Altrimenti impazzirei” risposi stropicciandomi gli occhi, che non avevo. “Tu stai mangiando, come al solito?”
Mr. Jingles alzò il musetto dal libro, sulla copertina in bianco e nero sorrideva una bella ragazza, ingenua e maliziosa allo stesso tempo, il titolo recitava “Colazione da Tiffany”.
“Squiiiit”
“Si lo so che è il pasto più importante della giornata. Ma vacci piano con quella roba americana, è molto calorica.”
“Squit, squiiiit?” domandò il ratto, cercando di cambiare discorso.
“Non so se verrà stanotte, è qualche giorno che non si vede. Vuol dire che le cose vanno bene.”
Come a volermi contraddire, una luce si accese nella notte e ondeggiando imboccò il sentiero sulla collina. Era la torcia che le avevo regalato dopo che per poco non era caduta, inciampando nello scheletro di Nonno Lugubre. Quel vegliardo aveva il cranio pieno di bacarozzi e dimenticava ovunque i suoi femori.
Dopo pochi minuti la riunione delle Sentinelle era nel vivo.
“Stanno avvenendo dei fatti insoliti all’orfanotrofio” disse la bambina sfogliando il suo taccuino.
“Hai fatto delle indagini?”
“Si, sono giorni che tengo d’occhio la situazione. Tutto è iniziato con i segnalibri. Quando qualcuno all’orfanotrofio decide di rilassarsi leggendo un po’ trova il segnalibro in un punto diverso da dove lo aveva lasciato. Anche molte pagine avanti, così magari prima di accorgersene legge qualche riga, rovinandosi la sorpresa.”
“Terribile! Continua.”
“Poi c’è questa cosa dei calzini: ogni volta che si fa il bucato un calzino sparisce, lasciandone uno solitario e inutilizzabile. Ma la cosa più strana succede all’ora del bagno, non appena ci si spoglia ci si infila nella vasca bella calda… qualcuno bussa alla porta, costringendoti ad uscire. Succede sempre. Non mi lavo da giorni ormai.”
“Squiiit…”
“Si hai ragione Mr Jingles” aggiunsi. “Meno male che non ho neppure il naso.”
“Senza ombra di dubbio si tratta di un maleficio” disse Luna. “Potrebbero essere stati i Poltergeist?”
“Impossibile, hanno un alibi di ferro. E rumoroso per giunta. L’unico maleficio che hanno fatto in questi giorni è stato contro la musica.”
“Squiiiit.”
“Hai visto dei movimenti strani nel bosco, Mr. Jingles? Allora che aspettiamo? Andiamo.”
Bosco Lugubre era un ammasso di alberi scuri e morenti che aveva preso il nome dalla Villa. Era stato chiamato così perché i proprietari non avevano una gran voglia di perdere tempo a inventare nomi per i boschi.
Non dovemmo cercare molto prima di trovare una traccia, eravamo cacciatori provetti ormai e l’odore di zuppa marcia era un indizio forte.
L’afrore di cavolo bollito e rospo schiacciato ci portò in una radura, al centro ribolliva un grosso calderone nero. Attorno alla mefitica sbobba , tre vecchie coperte di stracci borbottavano.
“Cosa state facendo qua?” dissi in tono autoritario.
“Che domande! Facciamo dei sortilegi” rispose la prima delle tre.
“Allora siete voi che state creando tutti quei disordini all’orfanotrofio” le accusò Luna facendo un passo avanti.
“Squiiit?”
“Ha ragione Mr. Jingles, perché lo fate?”
“Un’altra domanda stupida” intervenne la seconda. “Siamo le Sorelle Fatali, facciamo sortilegi da seicento anni. Inoltre ci tira su il morale quando siamo tristi.”
“Perché siete tristi?”
Il tono di Luna si era fatto più calmo. Nonostante fosse un’implacabile cacciatrice di mostri non mancava mai di preoccuparsi dei sentimenti altrui.
“Beh, difficile da dire” rispose la terza. “Prima abitavamo in una tragedia, immagino che ci sia rimasto il magone.”
“Adesso però siete in una favola, dovreste essere felici.”
Le tre sorelle confabularono tra di loro per qualche minuto, poi risposero in coro.
“Se siamo veramente in una favola, provatelo. Fateci ridere.”
“Sapete qual è il colmo per un vampiro?” dissi prendendo l’iniziativa. “Non essere in vena”
La prima megera fece un timido sorrisino ma le altre due mantennero la loro espressione imbronciata e rugosa.
“Sapete qual è il colmo per una strega?” provò Luna. “Smettere di fare fatture per non pagare l’IVA.”
La prima e la seconda strega sghignazzarono divertite, dalla terza nemmeno un sussulto.
“Squiiit, squitt? Squittt!” le incalzò Mr. Jingles.
Le streghe tacquero per qualche secondo, prima di scoppiare in una fragorosa risata. Una si teneva la pancia, un’altra si rotolava a terra e l’ultima addirittura lacrimava per il gran ridere.
Stavano ancora sghignazzando quando ce ne tornammo a Villa Lugubre.
***
Fu così che le streghe divennero nostre buone amiche e risolvemmo il problema dei malefici: facendole ridere. Roba da non credere.
Come dite? Volete sapere cosa ha raccontato Mr. Jingles?
Ma dai, non mi dite che non l’avete capita.