lunedì 25 settembre 2023

Recensione - "Le altalene" di Mauro Corona

Titolo:
 Le altalene
Autore: Mauro Corona
Genere: Narrativa
Pagine: 151
Editore: Mondadori
Data di uscita: 5 settembre 2023

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Dal giorno in cui, sessant'anni fa, piovve terra sulla terra, e terra nell'acqua, e terra su duemila anime morte, di cui quattrocentottantasette bambini, a Erto il tempo ha continuato a oscillare tra dolore e speranza di rinascita, ricordi tragici e difficili presenti, memoria di una povertà aspra e dura ma viva e vitale che si riflette nel benessere vuoto e triste dell'oggi.

La voce narrante di questo romanzo lirico, struggente, ferocemente intimo, conduce il lettore in un continuo andare e venire su e giù nel tempo: il vecchio ricorda e racconta il suo mondo com'era, prima che la cieca avidità dell'uomo lo distruggesse, e insieme racconta la sua vita, l'infanzia e la prima adolescenza, la spensieratezza di tre fratelli che si alterna alla incomprensibile violenza della vita famigliare, e che si deve misurare con il tormento di una comunità stravolta dal dolore. E poi la maturità e la vecchiaia, il presente, che porta su di sé il peso di una vita intera: e il simbolo di tutto questo sono le altalene del paese, che il narratore ricorda nel loro oscillare gioioso tra le grida felici dei bambini, e che vede oggi ferme, vuote, arrugginite.
Ho già letto altri libri di Mauro Corona e per quello mi trovo molto in difficoltà con questo. Si tratta di un libro che esce quasi in concomitanza con il sessantennale di quanto successe al Vajont, e a quella brutta storia l’autore dedica le pagine più belle di questo romanzo. Lo ha già fatto in precedenza, ma ci sta che chi quella brutta cosa l'ha vissuta, continui a parlarne, affinché se ne conservi il ricordo a monito perenne. È tutto il resto che mi ha convinto poco. Le prime pagine ho faticato moltissimo a leggerle. Mi sembrava un linguaggio molto confuso e disordinato, seppure corretto, finché ho incrociato questo passo:
“Fu una sera come le altre. Via vai, osterie fumose, qualche canto. Anche la notte come le altre. Fino a un certo punto. L’ora e il giorno si possono omettere. Il rumore no. La montagna non si reggeva in piedi, ubriaca di uomini sapienti. Un misto di cinismo e interessi, di prepotenza e cemento. Cemento davanti, vite umane dietro. Il torrente sprofondato nella sua stessa acqua non cantava più. 
Piovve terra sulla terra, terra nell’acqua, terra su duemila fosse aperte. 
C’era luna piena, sereno, vento sottile. Quel vento porta ancora le voci delle persone scomparse.
Quella notte la montagna inciampò negli ingegneri. Nei geologi, nei tecnici, nei poteri. Le fecero lo sgambetto. Programmato forse no. Riuscito e realizzato sì.”

Ho pensato ad un cambio di passo, al ritorno alla scrittura del Corona che conoscevo.
Invece no. Riprende la stesura confusa e altalenante tra passato e presente, tra ricordi e racconti attuali. Se il tutto viene considerato come il protagonista, che è facile identificare con lo scrittore stesso,  descritto intento a ripercorrere la sua vita e quella del paese e degli avvenimenti che hanno sconvolto entrambe mentre beve del vino rosso senza eccessiva moderazione, ci può anche stare. Ma ripete infinite volte le stesse cose. Sono cose che sicuramente lo hanno segnato, lasciandogli cicatrici indelebili nell’anima se non sul corpo e che colpiscono e coinvolgono anche il lettore, certamente. L’empatia scatta immediatamente ma alla lunga, all’ennesima ripetizione verrebbe da dire: “Ok, ho capito, andiamo oltre…”

Il libro non è diviso in capitoli. Questo è disturbante perché mi spiace sempre interrompermi nella lettura se non c’è una cesura del testo. Ma mi rendo conto che questo è un problema mio, che apprezzo i capitoli brevi.

Volendo dare una interpretazione dotta a questo libro, mi viene da dire che descrive un lutto non elaborato. Questo andrebbe a rispecchiare, a meraviglia, la storia dei paesi interessati dalla devastazione, causata dalla caduta della frana del 9 ottobre 1963 in seguito ai lavori per la costruzione della diga sul torrente Vajont che, ancora oggi, è là, in piedi, quasi un imperituro monumento funebre ai 1917 morti di cui 487 bambini. In quei paesi, infatti, ancora oggi quello che colpisce è il silenzio. È la tristezza che sembra ricoprirli come un doloroso sudario. Una sensazione che ti senti addosso in ogni momento e in ogni angolo.
Chi ha provato un dolore del genere non ha più saputo ritrovare la voglia di sorridere. Ecco questo il libro di Corona trasmette bene questo sentire e gliene do atto.
Però si è fatto qualche complimento di troppo, autoassolvendosi o trovandosi comunque giustificazioni non sempre condivisibili per i suoi eccessi e gli errori commessi nel suo percorso di vita. Questo riflette in pieno il personaggio che siamo abituati a vedere in televisione. Personalmente preferivo i libri scritti prima che diventasse un personaggio televisivo. 
Assegno comunque tre stelle in quanto la storia ha un suo perché, le pagine dedicate al Vajont sono strabelle e poi il finale è davvero spiazzante e mi ha sorpresa. Buona lettura a voi


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