venerdì 9 maggio 2025

Recensione - "Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza" di Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini, Leonardo Tosti

Titolo:
Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza
Autore: Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini, Leonardo Tosti
Genere: Poesia
Pagine: 156
Editore: Fazi Editore
Data di uscita: 8 aprile 2025

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La poesia come atto di resistenza. La forza delle parole come tentativo di salvezza. È questo il senso più profondo delle trentadue poesie di autori palestinesi raccolte in questo volume, in gran parte scritte a Gaza dopo il 7 ottobre 2023, nella tragedia della guerra in Palestina, in condizioni di estrema precarietà: poco prima di essere uccisi dai bombardamenti, come ultima preghiera o testamento poetico (Abu Nada, Alareer), mentre si è costretti ad abbandonare la propria casa per fuggire (al-Ghazali), oppure da una tenda, in un campo profughi dove si muore di freddo e di bombe (Elqedra). Come evidenzia lo storico israeliano Ilan Pappé nella prefazione, «scrivere poesia durante un genocidio dimostra ancora una volta il ruolo cruciale che la poesia svolge nella resistenza e nella resilienza palestinesi. La consapevolezza con cui questi giovani poeti affrontano la possibilità di morire ogni ora eguaglia la loro umanità, che rimane intatta anche se circondati da una carneficina e da una distruzione di inimmaginabile portata». Queste poesie, osserva Pappé, «sono a volte dirette, altre volte metaforiche, estremamente concise o leggermente tortuose, ma è impossibile non cogliere il grido di protesta per la vita e la rassegnazione alla morte, inscritte in una cartografia disastrosa che Israele ha tracciato sul terreno». «Ma questa raccolta non è solo un lamento», nota il traduttore Nabil Bey Salameh. «È un invito a vedere, a sentire, a vivere. Le poesie qui tradotte portano con sé il suono delle strade di Gaza, il fruscio delle foglie che resistono al vento, il pianto dei bambini e il canto degli ulivi. Sono una testimonianza di vita, un atto di amore verso una terra che non smette di sognare la libertà. In un mondo che spesso preferisce voltare lo sguardo, queste poesie si ergono come fari, illuminando ciò che rimane nascosto». Perché la scrittura, come ricordava Edward Said, è «l’ultima resistenza che abbiamo contro le pratiche disumane e le ingiustizie che sfigurano la storia dell’umanità».

Non amo le sillogi ma quando ho visto che acquistando questa avrei dato un contributo ad Emergency, che tanto sta facendo per il popolo palestinese e non solo, non ho resistito e l’ho preso.

Condivido il pensiero di Edward Said che definisce la scrittura «l'ultima resistenza che abbiamo contro le pratiche disumane e le ingiustizie che sfigurano la storia dell'umanità». Scrivere, indubbiamente, aiuta a tirar fuori le emozioni e a gestirle. In una situazione di guerra credo sia un sostegno incredibile e lo dimostrano le tante lettere e diari dei soldati di tutti i conflitti.

Comunque la si pensi, relativamente a quello che sta accadendo in quella terra, non credo si possa non sentire vicinanza alle persone che ne subiscono le estreme conseguenze. Il fatto che la prefazione del libro sia curata dallo scrittore israeliano Ilan Pappé dice molto.  Innanzi tutto lui sottolinea come la poesia sia sempre stata una delle manifestazioni più importanti della cultura araba, sia alta sia popolare.

“È una parte organica della vita: non c’è matrimonio senza poesia, e dona conforto nei momenti di difficoltà. Esistono poeti di strada che compongono versi in base all’occasione e poeti letterati che intrecciano esperienze personali con riferimenti alla realtà che li circonda”.

Ma va oltre, Pappé, parla dell’oppressione britannica degli anni trenta del secolo scorso, del brutale regime militare israeliano degli anni cinquanta e sessanta, della rivoluzione palestinese negli anni settanta che vide il fiorire di tanta poesia. Parla della Nakba e la definisce la catastrofe del ’48. E trova la naturale conseguenza di tutto questo la scrittura di tanta poesia che ha denunciato “sia il trauma collettivo delle vittime della pulizia etnica israeliana sia le risorse che hanno permesso a quelle vittime di trovare una via d’uscita dalla catastrofe”.

Poi è arrivato il 7 ottobre 2023 e tutto sembra, per molti, essere iniziato da lì. Non ci sono parole che non siano state già usate per condannare quell’attacco terroristico. Ma non è nato tutto da lì. E se a scriverlo è un israeliano credo sia bastevole a tacciare ogni replica. Le poesie raccolte sono state scritte principalmente da giovani. Qualcuno di loro oggi non c’è più, morto sotto i bombardamenti. Qualcuno vive in esilio all’estero per aver contrastato l’agire di Hammas. Leggere i loro scritti tocca nell’anima. Dopotutto noi siamo stati fortunati a nascere in un paese che non conosce guerra da ottant’anni e credo sia impossibile capire quello che prova chi invece non conosce la pace. Scrive infatti Haidar al-Ghazali, un ragazzo di vent’anni: “La libertà per cui moriamo, non l’abbiamo mai sentita”.

Leggere questo libro permette, forse, di rispondere alla domanda: “Cosa significa essere poeta in tempo di guerra?”

È stato fatto un bel lavoro di traduzione, con il testo arabo riportato a fronte. Libro ben curato, l’ho letto in poche ore e mi ha causato un bel mal di stomaco, e ho voluto scriverne subito. Di silenzio su Gaza ce n’è stato fin troppo.

Assegno 5 stelle e ve ne consiglio la lettura.


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