Autore: Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini, Leonardo Tosti
Genere: Poesia
Pagine: 156
Editore: Fazi Editore
Data di uscita: 8 aprile 2025
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Non amo le sillogi ma quando ho visto che acquistando questa
avrei dato un contributo ad Emergency, che tanto sta facendo per il popolo
palestinese e non solo, non ho resistito e l’ho preso.
Condivido il pensiero di Edward Said che definisce la
scrittura «l'ultima resistenza che abbiamo contro le pratiche disumane e le ingiustizie
che sfigurano la storia dell'umanità». Scrivere, indubbiamente, aiuta a tirar
fuori le emozioni e a gestirle. In una situazione di guerra credo sia un
sostegno incredibile e lo dimostrano le tante lettere e diari dei soldati di
tutti i conflitti.
Comunque la si pensi, relativamente a quello che sta accadendo
in quella terra, non credo si possa non sentire vicinanza alle persone che ne
subiscono le estreme conseguenze. Il fatto che la prefazione del libro sia
curata dallo scrittore israeliano Ilan Pappé dice molto. Innanzi tutto lui sottolinea come la poesia
sia sempre stata una delle manifestazioni più importanti della cultura araba,
sia alta sia popolare.
“È una parte organica della vita: non c’è matrimonio senza poesia, e dona conforto nei momenti di difficoltà. Esistono poeti di strada che compongono versi in base all’occasione e poeti letterati che intrecciano esperienze personali con riferimenti alla realtà che li circonda”.
Ma va oltre, Pappé, parla dell’oppressione britannica degli
anni trenta del secolo scorso, del brutale regime militare israeliano degli
anni cinquanta e sessanta, della rivoluzione palestinese negli anni settanta
che vide il fiorire di tanta poesia. Parla della Nakba e la definisce la
catastrofe del ’48. E trova la naturale conseguenza di tutto questo la
scrittura di tanta poesia che ha denunciato “sia il trauma collettivo delle
vittime della pulizia etnica israeliana sia le risorse che hanno permesso a
quelle vittime di trovare una via d’uscita dalla catastrofe”.
Poi è arrivato il 7 ottobre 2023 e tutto sembra, per molti,
essere iniziato da lì. Non ci sono parole che non siano state già usate per
condannare quell’attacco terroristico. Ma non è nato tutto da lì. E se a scriverlo è un israeliano credo sia bastevole a
tacciare ogni replica. Le poesie raccolte sono state scritte principalmente da giovani. Qualcuno di loro oggi non c’è più, morto sotto i bombardamenti.
Qualcuno vive in esilio all’estero per aver contrastato l’agire di Hammas.
Leggere i loro scritti tocca nell’anima. Dopotutto noi siamo stati fortunati a
nascere in un paese che non conosce guerra da ottant’anni e credo sia
impossibile capire quello che prova chi invece non conosce la pace. Scrive
infatti Haidar al-Ghazali, un ragazzo di vent’anni: “La libertà per cui
moriamo, non l’abbiamo mai sentita”.
Leggere questo libro permette, forse, di rispondere alla
domanda: “Cosa significa essere poeta in tempo di guerra?”
È stato fatto un bel lavoro di traduzione, con il testo arabo
riportato a fronte. Libro ben curato, l’ho letto in poche ore e mi ha causato
un bel mal di stomaco, e ho voluto scriverne subito. Di silenzio su Gaza ce
n’è stato fin troppo.
Assegno 5 stelle e ve ne consiglio la lettura.
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