martedì 18 luglio 2023

Recensione - "Prendetevi la luna. Un dialogo tra generazioni" di Paolo Crepet

Titolo: 
 Prendetevi la luna. Un dialogo tra generazioni
Autore: 
Paolo Crepet
Genere: Saggio
Pagine: 204
Editore: Mondadori
Data di uscita: 27 giugno 2023

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«Prendetevi la luna» non è un consiglio, ma una suggestione. Non vale solo nei momenti difficili, ma anche in quelli di gioia, o quando si tende più alla rassegnazione che all'esaltazione. La luna è lì apposta, scompare e ricompare proprio perché se ci fosse sempre sarebbe banale. Funziona come il desiderio, che implica il cercar le stelle proprio quando non ci sono o si teme siano nascoste da qualche parte dell'universo. Oggi più che mai siamo catturati dal presente e ce lo siamo fatti bastare, forse atterriti per ciò che potrebbe essere alle porte o per sazietà di quanto possediamo. La famiglia fatica nella propria funzione autorevole, la scuola è inzuppata di burocrazia e impermeabile al cambiamento, l'attenzione per l'ambiente, tentando di garantire un futuro benefico, rischia di colpire la bellezza, mentre le tecnologie disegnano un mondo di relazioni mute e asservite a nuovi ordini categorici. È come se il futuro proponesse messaggi controversi invece che rassicuranti. Eppure, non sono gli eventi che ci stanno cambiando, ma noi che cambiamo gli eventi. Inseguire un orizzonte, non conquistarlo, questo è il senso di pensare e di scrivere. E oggi c'è proprio bisogno di cercare qualcosa di nuovo. Non tutti ci provano, né sentono quest'obbligo. Si combattono guerre terribili, eppure è più preoccupante ciò che non fa rumore e che si annida in tante anime persuadendole ad arroccarsi, a difendersi chiudendo l'uscio di casa. Girano spacciatori di comodità, allettano i pensieri di molta gente. In questo libro, Paolo Crepet torna sui temi a lui più cari, l'educazione, la scuola, la famiglia, con un intento chiaro: fornire uno strumento per orientarsi oltre la coltre di nubi che oscurano la luna, ovvero la speranza. Per questo dice ai giovani e anche a chi non lo è più: prendetevi la luna. Ognuno la sua, ovviamente.
Recensire un libro di Paolo Crepet, confesso, mi ha intimorito. Lo seguo da anni e mi piace quel suo essere un po’ brusco e poco interessato a piacere a chi ha di fronte, al punto da definire i suoi incontri con i genitori “eventi sadomaso”. In effetti lui non è mai molto tenero con padri e madri dei nostri tempi ed è naturale che si stupisca di vederli partecipare numerosi a incontri durante i quali lui continuerà a rimproverarli per essere proni di fronte ai loro figli. Il suo mantra è semplice: se i genitori si ostinano a preparare lo zaino ai figli, a portarli a scuola col suv anche se abitano a cento metri dalla scuola e a spianare la strada da ogni difficoltà dinanzi a loro, ebbene questi figli non diventeranno mai capaci di fare da soli. Si indigneranno di fronte ai no che inevitabilmente la vita porrà loro davanti e Dio solo sa come potranno reagire.
In questo libro, confesso, mi è sembrato un po’ scarico. Come se fosse davvero troppo stanco di ripetere le stesse cose a persone che, giovani o adulte che siano, continuano a commettere gli stessi errori perché quella è la strada più facile. A volte mi ha infastidito che certi argomenti li abbozzasse appena o con un linguaggio che mi obbligava alla rilettura, ma non mi è mai venuta la tentazione di non arrivare in fondo.

Crepet non è stato uno studente modello. Racconta di aver preso uno in matematica alle superiori e della reazione straordinaria del padre: eppure non ha mai smesso di provarci né ha mai deciso di appoggiarsi a situazioni comode. Ed è questo che vorrebbe veder fare ai ragazzi anche oggi e invece li vede troppo spesso indifferenti e quasi anestetizzati.
Oggi, dice, viviamo in società consumistiche nelle quali si è cercato incessantemente di migliorare le condizioni di vita ma ad un prezzo altissimo: il dolore doveva sparire. Il dolore, il sacrificio per arrivare a raggiungere i propri obiettivi sono oggi considerati quasi indecenti. Un tempo si credeva che senza impegno e sacrificio non si potesse fare nulla ma oggi non è più così. Impegno e fatica rappresentano gli odori della generazione precedente dice Crepet. Anche la fatica di provare a esprimere sé stessi e aspirare a qualcosa di diverso viene rifiutata. Cita una frase dello scrittore David B. Morris a conferma di questa sua impressione:
“Gli americani di oggi appartengono probabilmente alla prima generazione sulla terra che considera un’esistenza priva di dolore come una sorta di diritto costituzionale. Le sofferenze sono uno scandalo.”
Questo Crepet non può concepirlo, e sostiene:
“Eppure, il mondo cambia complicandosi: è la sua storia e il suo destino, per fortuna, altrimenti sarebbe noioso. Ognuno è chiamato a capire il proprio orizzonte, a percepirlo, a disegnarlo, ma soprattutto a scovare gli inganni: dall’intelligenza artificiale che non è poi così intelligente, ai social media che non sono poi così socievoli. È questa la grande fatica da cui si vuol evadere?”
Vivere relazioni virtuali mediate da device che sembrano essere incollati alle nostre mani fin dai primi anni di vita non fa che allontanarci dalle nostre emozioni. Lo si vede bene quando si utilizza una app che solo appoggiando un dito al sensore dice quanto si è depressi. Non sapevo che esistesse un'applicazione del genere e la cosa mi lascia basita. Possibile che non siamo in grado di guardarci dentro e di chiederci come stiamo senza farcelo dire da un congegno elettronico?
I risultati si vedono chiaramente. Scrive infatti Crepet:
“Una società senza dolore non conosce etica, non può pretendere un progetto credibile. Togliere ogni scalino impigrisce, appiattisce, banalizza. Una parte consistente dell’umanità rischia di rimanere incagliata nella nebbia di un futuro che non riesce a vedere con esattezza: ogni volta che ci prova, fatalmente, si perde contraddicendosi. L’anestesia lusinga e inganna, non crea percorsi ma circoli viziosi. Si osannano i diritti senza rispettare i doveri. L’essere si fa protervia diventando avere, le ideologie muoiono lentamente e lentamente si diffonde il consumismo emotivo che diventa obbligo perentorio.”
Relativamente all’uso dei device Crepet ritiene di estrema importanza che si instauri “un franco dibattito sulle conseguenze dell’uso dell’intero sistema del digitale sulla formazione, sull’educazione, sulle capacità relazionali: in una parola, sul cambiamento antropologico (non solo dei bambini e degli adolescenti) in atto da anni.”
Lo so, molti insorgeranno, accusando Crepet di avercela con Internet solo per motivi anagrafici. Non è così. Gli effetti dell’abuso di internet sono paragonabili a quelli dell’abuso di sostanze e, prima ancora dell’abuso di alcol. È l’evoluzione delle dipendenze che servono a stordirsi oggi come ieri. Disturbi del sonno e dell’umore, difficoltà ad apprendere, (e vorrei ben vedere non fosse così rispondendo continuamente alle notifiche che arrivano incessanti) chiudono i ragazzi in una sorta di gabbia di cristallo interiore difficile da individuare e da penetrare. A scuola sembrano non rispondere ad alcuno stimolo.
“E da lì si aprono due strade, comunque inquietanti: quella che porta alla violenza contro di sé o, all’opposto, contro gli altri. In mezzo è difficile navigare, anche perché ben pochi adulti sono stati in grado di insegnarlo.”
E non è critico solo con i genitori ma anche con il sistema scuola, anche se non esclude che ci siano esperienze diverse e positive, infatti afferma:
“Uno dei difetti più grossolani della scuola è la sua autoreferenzialità, la sua scarsissima capacità empatica. Ma è anche difficile chiedere a insegnanti nella cui preparazione non è previsto questo obiettivo motivazionale un contributo che esula dalla loro formazione e dai criteri che li hanno selezionati.”

Lo scopo di questo libro credo sia invitare tutti, indistintamente, a fare una sana autocritica al fine di riprendere i contatti con sé stessi e con gli altri, ma senza filtri elettronici. Ci ho visto una disperata esortazione a tornare umani, umani che si impegnano in ciò che credono e non temono la fatica.
E chiudo con questa sua frase che trovo stupenda:
“Mi batto per il diritto alla malinconia, alla visione controluce che non altera i colori, né la loro intensità, ma aggiunge un punto di vista non scontato. Il perfezionismo di facciata assomiglia ai palazzi appena restaurati, troppo belli, troppo lisci, poco vissuti.”
Leggiamo questo libro con la calma necessaria, riflettiamo e facciamo passare anche qualche forma verbale traballante. Prendiamoci del tempo per noi e dedichiamo attenzione agli altri. Ne usciremo certamente migliori, e chi se ne frega se non saremo perfetti?
Assegno quattro stelle perché, anche se in prima battuta non ne ero convinta, lasciandolo decantare mi ha dato un sacco di spunti. E stasera penso che ne leggerò alcune pagine a mio marito e a mio figlio che si scontrano spesso su vari temi, nella speranza che ne facciano tesoro.
Buona lettura.  

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