mercoledì 26 febbraio 2025

Recensione - "Sciuscià" di Bruno Maida

Titolo:
Sciuscià
Autore: Bruno Maida
Genere: Storico
Pagine: 344
Editore: Einaudi
Data di uscita: 2 aprile 2024

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Un’infanzia povera, orfana ed emarginata. Questa è la storia degli sciuscià, i bambini che nel dopoguerra hanno riempito le strade d’Italia. «Sciuscià» è una delle parole italiane più conosciute al mondo. Resa celebre dall’omonimo film di Vittorio De Sica è arrivata a incarnare e rappresentare la condizione dell’infanzia povera e abbandonata nell’Italia nel dopoguerra, forse più di ogni altro aspetto sociale ed economico. Dalla liberazione di Napoli nel 1943 fino alla fine del decennio, i bambini e i ragazzi di strada sono il simbolo del contrasto tra un’infanzia come immagine positiva del futuro e un’infanzia “pericolosa” che vive ai margini della società e spesso è costretta a delinquere. Nascono moltissime iniziative assistenziali, religiose e laiche, per nutrirli, vestirli, educarli. Gli sciuscià diventano così protagonisti di un progetto di salvezza dell’infanzia e le loro storie sono raccontate dal cinema, dalla letteratura, dalla fotografia, dai diari e dalle memorie. Le pagine che si leggono in questo libro raccontano le vicende di quei bambini e ragazzi di strada chiamati «sciuscià». Non è quindi in senso stretto la storia dei lustrascarpe che nei primi anni del dopoguerra popolano le grandi città italiane, in particolare Roma e Napoli, invase dai militari alleati a cui di fatto si deve il nome. Non è neanche la storia del film di Vittorio De Sica, vincitore del premio Oscar come migliore pellicola straniera nel 1948, che ha reso la parola «sciuscià» famosa in tutto il mondo. Eppure questo libro è anche la storia dei lustrascarpe e del film di De Sica, per tre motivi. Il primo è politico e culturale. L’intreccio di creatività e avversità di cui parla la motivazione dell’Oscar al film sembra dipingere il tradizionale stereotipo dell’italiano che se la cava in qualche modo, si arrangia e alla fine o sparisce nel gorgo luciferino della miseria o, baciato dalla fortuna, conquista il successo. Il secondo motivo è che «sciuscià» è una sineddoche. I lustrascarpe sono la parte visibile di una massa di bambini e ragazzi orfani, poveri e profughi che vivono e sopravvivono nelle strade delle città italiane del dopoguerra. Il terzo motivo è il valore per così dire universale, nel tempo e nello spazio, dello sciuscià. La sua figura di bambino è quella che aggruma l’idea di tutte le infanzie vissute ai margini della società nel corso del Novecento: vittime dei cambiamenti che investono le comunità dopo guerre e catastrofi oppure espressioni icastiche dell’umanità dimenticata e offesa a ogni latitudine.
A scuola la storia non mi piaceva ma in questi ultimi anni devo dire che mi appassiona leggere saggi che riguardano quella contemporanea. Avevo già letto “I treni dell’accoglienza” di Bruno Maida e mi è parso giusto approfondire la conoscenza della situazione dell’infanzia nel periodo compreso tra il 1943 e il 1948 con questo suo nuovo libro.
Ancora una volta sono stata travolta dal fluire delle parole che, sono scritte ma sembra proprio di sentirle. Maida, oltre a essere uno studioso di storia, è un esperto di cinema e non solo. Più ancora che ne “I treni dell’accoglienza”, infatti, la storia dell’infanzia del fine e dopo guerra ci viene raccontata attraverso i film che la ebbe protagonista e, ancora, attraverso gli articoli dei giornali e delle immagini che i fotografi dell’epoca ci hanno lasciato. È dunque un viaggio anche visivo attraverso città devastate dai bombardamenti nelle quali i bambini sembrano vagare senza alcun controllo e senza alcuna tutela.

Dopo aver fatto un quadro della situazione si ha modo di conoscere anche gli interventi a favore dell’infanzia che sono stati messi in campo da organizzazioni religiose, in particolare dai salesiani, e da organizzazioni laiche, in particolare dal partito comunista.
Una cosa che mi ha destabilizzata è stato leggere di come, dietro alle operazioni di aiuto all’infanzia non ci fosse una comunione di intenti tra le parti attive, nonostante la situazione davvero drammatica, ma ci fosse sempre una rivalità e una determinazione a mettere in luce il proprio operato e in ombra quello dell’altra parte.
Mi hanno poi impressionata le relazioni che si instauravano tra questi bambini e i soldati alleati, non sempre trasparenti e auspicabili.

Allora come oggi manca la volontà di lavorare insieme per il bene comune e vale sempre la legge del più forte che porta ad approfittarsi del soggetto debole, e chi è più debole di un bambino affamato e solo?
In particolare Maida evidenzia come emerga poco dai racconti raccolti la presenza delle bambine e delle ragazze di strada quasi come se la loro marginalità si posizionasse a un livello inferiore rispetto ai compagni maschi, in termini di immoralità e mancanza di dignità, al punto da dover essere tenuta nascosta. Anche in questo caso la colpa viene attribuita al femminile, non al maschile, ben più adulto, che ne abusa.

Questo libro si chiude con una serie di domande che nascono dalla constatazione che a ottant’anni dalla fine della guerra la condizione dell’infanzia nel mondo non risulta migliorata.
Che fine hanno fatto i diritti universali dell’infanzia definiti nel Novecento, in mezzo a tante difficoltà e contraddizioni?
Quale visione del mondo deriva dall’osservazione che benessere e profitto aumentano solo in una parte estremamente ristretta del mondo e della sua popolazione?
Quali strumenti possiamo mettere in campo per combattere la vera causa di ogni povertà e sfruttamento?
Come affrontiamo le trasformazioni globali, in primis gli spostamenti delle popolazioni e l’aumento delle guerre che generano un alto numero di bambini orfani, profughi e poveri?
Quali politiche e forme di solidarietà possiamo costruire per contrastare l’emergere in tutto il mondo dei nuovi sciuscià?

Sono le domande che hanno stimolato l’autore a scrivere questo libro e che, proprio per la loro pressante attualità lo hanno interessato sia come storico che come essere umano. Sono le domande alle quali chiunque leggerà questo libro cercherà di dare risposta.
È un libro molto tosto, scritto davvero bene e che offre una visione da vari punti di vista della situazione dei bambini in quei terribili anni.
Mi ha appassionata e mai stancata e per questo assegno cinque belle stelle e vi auguro buona lettura.


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1 commento:

  1. Ciao ragazze, scusatemi è da tantissimo che non mi faccio sentire qui sul vostro blog! Sapevo del film - che non ho ancora avuto il coraggio di guardare - ma non avevo idea dell'esistenza del libro. Ultimamente anche io voglio iniziare ad informarmi su tutto ciò che riguarda il dopoguerra visto che a scuola non l'abbiamo studiato (il che è un'assurdità visto che noi siamo i figli e i nipoti delle persone che il dopoguerra l'hanno vissuto) e aggiungo questo titolo a quelli che avevo già inserito per l'argomento. Grazie per avermelo fatto scoprire! ❤️

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