giovedì 31 agosto 2023

Recensione - "Solo è il coraggio. Giovanni Falcone, il romanzo" di Roberto Saviano

Titolo: 
 Solo è il coraggio. Giovanni Falcone
Autore: 
Roberto Saviano
Genere: Narrativa
Pagine: 512
Editore: Bompiani
Data di uscita: 27 aprile 2022

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Un’esplosione squarcia la quiete della campagna corleonese. Il giovanissimo Totò Riina assiste allo sterminio dei suoi familiari intenti a disinnescare una bomba degli Alleati per ricavarne esplosivo. È un boato che distrugge e che genera. La piaga che molti, con timidi bisbigli, chiamano mafia, ma che d’ora in poi si rivelerà a tutti come Cosa nostra, s’incarna da qui in avanti nella sua forma più diabolica. Ma con potenza uguale e contraria, per fronteggiare l’onda di quella deflagrazione scaturisce anche il suo antidoto più puro. È il coraggio, quello che sorregge l’ingegno e l’intraprendenza, che sopperisce ai mezzi spesso insufficienti: il coraggio che scorre in Giovanni Falcone, negli uomini e nelle donne che insieme a lui sono pronti a lanciarsi in una battaglia furiosa dove la vita vale il prezzo di una pallottola. La storia di un magistrato che insieme a pochi altri intuisce la complessità di un’organizzazione criminale pervasiva, ne segue le piste finanziarie, ne penetra la psicologia e ne scardina la proverbiale omertà, è narrata in queste pagine con l’essenzialità di un dramma antico: sul proscenio, un uomo determinato a ottenere giustizia, assediato dai presagi più cupi, circondato dal coro dei colleghi che prima di lui sono caduti sotto il fuoco mafioso; stretto, nelle notti più buie, dall’abbraccio di una donna che ha scelto di seguirlo fino a dove il fato si compirà. Roberto Saviano ha voluto onorare la memoria del giudice palermitano strappandolo alla fissità dell’icona e ripercorrendone i passi, senza limitarsi a una ricostruzione fondata su uno studio attentissimo delle fonti, degli atti dei processi, delle testimonianze, ma spingendo la narrazione fino a quello “spazio intimo dove le scelte cruciali maturano prima di accadere”. Questo romanzo ci racconta una pagina fatidica della nostra storia, illumina la vita di un uomo che, nel pieno della carriera, fu in realtà al culmine del suo isolamento. E leva il canto altissimo della sua solitudine e del suo coraggio.
Che dire? È il primo libro di Saviano che leggo e ci ho ritrovato dentro il Saviano padrone della lingua e, soprattutto, della materia di cui scrive.
Descrivere, attraverso un romanzo, avvenimenti di tale portata, richiede un lavoro di ricerca che giustifica le tantissime pagine di bibliografia, che non si limitano a un mero elenco dei libri e dei siti studiati per prepararsi. Saviano va oltre e spiega, fonte per fonte, come l’ha trovata e usata e, addirittura, con quale stato d’animo ha affrontato quel particolare argomento.Quindi solo per questo, tanto di cappello. 
Sull’argomento ho già letto diversi testi, ma questo, mi ha dato l’illusione di conoscere, non solo i magistrati che hanno segnato quegli anni, ma gli uomini che erano quando tornavano a casa dalla famiglia o stavano semplicemente da soli. Da soli con la loro paura e il loro coraggio.
Ho amato questi grandi uomini che hanno dato la vita per estirpare la criminalità organizzata che come un'erbaccia infestante è riuscita a invadere le nostre città fino alle più alte istituzioni.
Mi sono ritrovata a pensare che è davvero brutto vivere in un paese la cui classe politica ha lasciato soli questi uomini permettendo alle erbacce di soffocare i fiori più belli. Ma non solo la classe politica, anche una parte della magistratura, vuoi per paura o, peggio ancora, per invidia ha contrastato il lavoro di chi voleva sconfiggere cosa nostra, dedicandosi completamente a quel lavoro.
Lo esprime davvero bene Saviano:
“Sembra che questo Stato sia ammalato, che alcune sue cellule si rivoltino contro di lui, e che il suo sistema immunitario … sia un apparato residuale, messo all’angolo dal proprio stesso organismo. Lasciato solo, infiacchito. Eroso passo dopo passo, mutazione dopo mutazione, finchè diventa complicato distinguere la parte sana da quella marcia. Il lavoro di sabotaggio delle cellule buone è scientifico e graduale.”
Il pool anti mafia di Palermo cambiò il modo di lavorare per riuscire ad esercitare un’azione più efficace contro la mafia. Ma due fatti restano fissi e immutabili:
“Il primo: indagare seguendo gli spostamenti di denaro può essere un mezzo fondamentale per la lotta alle mafie.
Il secondo: puoi avere tutte le prove del mondo, ma se i giudici sono sordi da quell’orecchio, i boss restano liberi.”
E per quello Falcone, per un certo periodo, era passato al Civile. Non ne poteva più di vedere mandare in fumo il suo lavoro. Ma se uno nasce rotondo non può morire quadrato e lui era nato per combattere la mafia. Era quello il suo destino. Accettò la scorta e anche per questo fu criticato. Persino dai vicini di casa che trovavano disturbante la sua presenza e non si fecero scrupoli a esprimerlo con lettere al Giornale di Sicilia.
La gente comune vorrebbe poter vivere tranquilla, non vedere e non sentire. Sa che è meglio tacere, che basta una parola di troppo, o anche una parola e basta per essere presi di mira dalla criminalità. Dall’altro lato qualche “manina” è sempre pronta a far sparire documenti importanti ai fini delle indagini. Quando a morire fu il Generale Dalla Chiesa, per esempio, sparirono le sue carte dalla cassaforte privata. Eppure il pool non si fermava.
Rocco Chinnici aveva organizzato il pool tenendo fisso il punto sul fatto che la mafia non è una accozzaglia di cellule slegate tra loro, ma che è una struttura altamente organizzata guidata da una regia ben precisa.
Chinnici sapeva bene, dopo l’omicidio di Dalla Chiesa “che nessuno più lo avrebbe salvato. Ormai era chiaro che gli argini erano saltati, che i giusti camminavano con una croce nera disegnata sulla schiena, mentre i reietti, i bavosi, il grado zero dell’evoluzione umana, sventagliavano i mitra in alto verso il cielo cantando odi ai giudici malcreati che li assolvevano, ai poliziotti che  si giravano dall’altra parte, ai politici che gli regalavano appalti e con cui andavano a braccetto.”
Eppure questi uomini sono stati lasciati soli. Anche intellettuali dello stampo di Leonardo Sciascia ebbe a scrivere in un articolo sul Corsera:
“Nulla vale più, in Sicilia, per far carriera nella magistratura, del prender parte ai processi di stampo mafioso.”
Questo era purtroppo il pensiero di molti. Falcone e colleghi sarebbero stati pronti a farsi ammazzare solo per far carriera, non per combattere un mostro.

Saviano riesce a mostrare molto bene il ruolo della paura nelle vite di questi uomini. La paura che “Monta come l’alta marea, inonda il cervello di un liquido scuro e corrosivo. Consuma le cellule, erode i gangli, logora l’ospite fino a neutralizzarlo. Si ciba di attimi di felicità, come una giornata al mare in costume e ciabatte.”
Ci vuole tanto coraggio per tenersi quella paura addosso e non farla ricadere su chi si ha vicino. E quel coraggio ti fa lasciare tutto e tutti.
Poco prima di essere ammazzato Falcone disse:
“Io non ho niente. Non ho neanche una casa mia. Ho soltanto il mio lavoro. Il mio lavoro e la mia dignità. E quella… Mi spiace per loro, ma quella non me la possono togliere.”

Aveva rinunciato anche ad avere figli perché, sosteneva, “non si possono mettere al mondo degli orfani”.
È stato un grande il giudice Falcone e anche questo libro me lo ha confermato. Ho trovato bella l’idea di chiudere il romanzo con una foto di un Falcone sorridente, e mi ha fatto pensare che sarebbe stato altrettanto bello chiudere ogni capitolo con la foto degli altri magistrati, poliziotti e politici ammazzati dalla mafia. Credo che sarebbe importante conoscerne il viso oltre al nome per ricordarli meglio.
Che dire, dunque, non è una lettura leggera ma Saviano ha saputo renderla non troppo pesante. Io l’ho trovata davvero interessante e me lo sono divorato questo libro.
Lo consiglio davvero caldamente a tutti, così come consiglio di parlarne coi nostri figli.
Assegno cinque belle stelle perché è un bel libro, scritto bene, e con un argomento assolutamente interessante.

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