giovedì 4 novembre 2021

Recensione - "La guerra dei Bepi" di Andrea Pennacchi

Ciao a tutti! Ci sono poche novità dal punto di vista vita, mentre tante e forse troppe novità dal punto di vista libri... intanto tra ottobre e novembre sono usciti tanti bei libri, e stavolta ho un po' esagerato perché gli arrivi si sono accavallati e ora mi ritrovo già con due libri da leggere e altri 3 in arrivo... pian piano riuscirò a leggerli tutti :P Intanto invece la mia amica Monica ha letto un libricino di poche pagine che si è rivelato una commedia teatrale che viaggia dalla prima alla seconda guerra mondiale fino a Mogadiscio del '93.  
Titolo:
La guerra dei Bepi
Autore: Andrea Pennacchi
Genere: Commedia storica
Pagine: 128
Editore: People
Data di uscita: 28 settembre 2020

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Dopo la pubblicazione di "Pojana e i suoi fratelli", primo libro di Andrea Pennacchi, People propone una sua seconda raccolta, che racchiude i monologhi e i testi che l’autore ha dedicato a suo nonno e a suo padre. Entrambi Bepi – il nonno si chiamava così, il papà scelse il nome del padre quando, da partigiano, andò sulle montagne –, coinvolti nella Prima e nella Seconda guerra mondiale. In guerra, da persone comuni, alla ricerca di un senso difficile da cogliere e soprattutto da spiegare, in trincea (il nonno) e in un campo di concentramento (il papà). Le storie di famiglia si proiettano anche sull’episodio finale del trittico che vi presentiamo, ambientato nella Mogadiscio del 1993, durante la prima battaglia combattuta dall’esercito italiano dopo la fine della Seconda guerra mondiale, ossia la battaglia del checkpoint Pasta, ricostruita e rielaborata da Pennacchi. Bepi è dunque diventato, nel suo immaginario, una sorta di soldato universale, che dall’Iliade ai giorni nostri non si è perso un conflitto, anzi li ha attraversati tutti, ogni volta più disilluso, più deluso, più arrabbiato, più ferito.
Ho letto questo libro a mia madre per farle compagnia in un giorno di Day Hospital. La mia mamma ha quasi novantacinque anni e non riesce più a leggere da sola. Le piace ascoltare le storie dei suoi tempi, specie se parlano di alpini. Avevo scelto questo libro dopo averne letto un brano e mi era sembrato adatto. Non avevo capito che si trattava di testi teatrali ma la cosa non mi ha disturbata. Il testo è ben scritto e le storie molto avvincenti. Sono storie di guerra nelle quali Bepi è diventato 

“una sorta di soldato universale, che dall’Iliade ai giorni nostri, non si è perso un conflitto, li ha attraversati tutti, ogni volta più disilluso, più deluso, più arrabbiato, più ferito.”

Forse il fatto che l’autore, veneto come me, usa alcune espressioni venete nel far parlare i Bepi delle sue storie ce lo ha fatto apprezzare ancora di più. Si tratta di storie vere che vedono protagonisti suo nonno, nella prima guerra mondiale, suo padre, nella seconda, e alcuni reparti della Folgore di stanza a Mogadiscio. 
La prima storia inizia in modo stupendo:

“Corriere della Sera, 23 maggio 1915
Questa è l’ultima guerra d’indipendenza. Il generoso sangue italiano si prepara a tracciare con linee indelebili l’adempiersi del nostro destino.
Bepi, te che sai leggere, cosa vuol dire? Che semo ciavà (trad.: siamo fregati)”.

In tre parole il nonno Bepi descrive una situazione che non lascia decisamente ben sperare.
Nella seconda storia il padre dell’autore finisce in un campo di concentramento dove tutti i prigionieri diventano 

“… veri e propri scheletri che camminano, i crani vuoti dei morti, le ossa che forano la pelle, occhi sbarrati, bocca aperta. Morti viventi, vivi che aspettano solo di morire”.

Ma gli uomini riescono sempre a trovare la forza per superare ogni avversità se imparano a fare squadra: chi è rinchiuso da più tempo porta la sua esperienza per aiutare i compagni di sventura a superare quella prova terribile:

“Non fate l’errore di pensare alla vostra miseria. Usate la fantasia: pensate ogni giorno a cosa vorreste mangiare, non perdetevi. (…) Ricordatevi, hanno prigionieri i nostri corpi non le nostre anime”.

È crudo ma vero, frutto dei pochi racconti sentiti in famiglia e della ricerca dell’autore. Queste due storie ci hanno fatto ricordare i brutti periodi della guerra ma con quella vena ironica, e qualche imprecazione, tipica dei nostri alpini. L’ultimo racconto, vuoi perché parla di una guerra che si è svolta lontana dai patrii confini, vuoi per la presenza di un numero di parolacce esagerato, lo abbiamo apprezzato un pochino meno. Ma forse era anche perché leggerlo a voce alta in ospedale mi è risultato un pochino imbarazzante. Comunque è un libretto carino. Assegno tre stelle e vi auguro buona lettura.

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