Autore: Alberto Grandi, Daniele Soffiati
Genere: Saggio
Pagine: 276
Editore: Mondadori
Data di uscita: 16 aprile 2024
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"Quando Gualtiero Marchesi, considerato il fondatore della nuova cucina italiana, negli anni Novanta consigliava di mettere la panna nella carbonara, a nessuno veniva in mente di scatenare autentiche guerre di religione come avviene oggi." Alberto Grandi, professore di Storia del cibo e presidente del corso di laurea in Economia e Management all'Università di Parma, e Daniele Soffiati, suo sodale nel celeberrimo podcast DOI - Denominazione di Origine Inventata, ci spiegano perché la cucina italiana non esiste! È vero che i prodotti italiani sono buonissimi, spesso i migliori al mondo, ma è falso che abbiano origini leggendarie, perse nella notte dei tempi. Non è serio sostenere che Michelangelo faceva incetta di lardo ogni volta che passava per Colonnata, così come non è credibile che i milanesi abbiano insegnato agli austriaci a preparare la cotoletta. La ricerca storica attesta che la cucina italiana, intesa come prodotti e ricette della tradizione, è un'invenzione recente e, di fatto, un'efficace trovata di marketing: la narrazione della tradizione è spesso l'ingrediente contemporaneo che rende i nostri piatti ancora più gustosi. La ricerca della coppia Grandi-Soffiati ci ricorda che fino a un recente passato gran parte degli italiani moriva di fame, mentre le élite si dilettavano con cuochi e buon cibo. Inoltre, molti piatti simbolo della "tradizionale" cucina italiana, dalla pizza alla pasta, non sarebbero stati possibili senza il fondamentale contributo dei migranti italiani, che tornarono da terre lontanissime con qualche soldo in tasca e prodotti alimentari praticamente sconosciuti fino al 1900. Con questo libro, vera e propria miniera di informazioni e curiosità, gli autori ci accompagnano in un ideale supermercato. Analizzando, scaffale per scaffale, la storia degli alimenti e dei piatti tipici, ci svelano che gli italiani sono ottimi cuochi proprio perché non sono mai stati vincolati da una tradizione di fatto inesistente, bensì sempre aperti alla cucina e agli ingredienti degli altri paesi del mondo.
E così pure tutti i vari marchi DOP, DOC e chi più ne ha più ne metta.
La domanda che si pongono gli autori è semplice: come si
possono vantare origini storiche antiche per ricette che all’epoca non erano
fattibili per mancanza di alcuni ingredienti fondamentali o per la miseria nera
in cui versava la popolazione? E come si può vantare la sovranità della cucina
italiana in un Paese come il nostro ove le particolarità locali sono così
marcate da rendere diversi i piatti, più o meno elaborati, da un paese
all’altro, e figuriamoci da regione all’altra.
Secondo gli autori si parla di queste antiche tradizioni
esclusivamente per rafforzare un sentimento nazionalista che porti le persone a
ritenere il proprio Paese superiore a ogni altro. Il proliferare dei vari
marchi sarebbero invece sostegni commerciali che poco avrebbero a che fare con
la buona qualità, almeno in alcuni casi, del prodotto.
Devo dire che l’esposizione di queste tesi è stata davvero
appassionante, soprattutto quando si parlava dei nostri migranti che a cavallo
tra 1800 e 1900 hanno abbandonato la loro casa per cercare lavoro in America.
In quei luoghi hanno avuto modo di conoscere nuovi alimenti, e di poterne usare
altri che in patria non si potevano permettere. Poterono così sviluppare nuovi
piatti che poi, di ritorno in Italia, fecero conoscere e diffusero anche qui.
Quindi la cucina italiana è davvero tanta roba e possiamo
trovarci dentro tutto quel che vogliamo, tranne quello che molti italiani amano
raccontare perché ogni piatto affonda le proprie radici in tempi e luoghi più o
meno lontani e nessuna, davvero nessuna, ricetta è scritta sulla pietra. Ognuno
ci mette del suo, sia in termini di preparazione che di ingredienti e, in tempi
passati, nessuno ha mai avuto nulla da ridire in merito. Chi oggi inorridisce
se ne faccia una ragione o resti della sua idea, se proprio vuole a parlar di
grastronazionalismo a chi desidera stare ad ascoltarlo. Ma si tratta, secondo
gli autori, di soggetti per i quali sembra essere diventata più importante
l’apparenza della sostanza, al punto da fa sparire quest’ultima.
Tutto questo, e molto altro, porta gli autori a chiedersi il motivo per cui il 23 marzo 2023 l’Italia abbia presentato all’Unesco la candidatura della nostra cucina a patrimonio immateriale dell’umanità.
“Questa enfasi sul nostro patrimonio gastronomico e sulla superiorità della cucina italiana ci sta facendo assistere a un generale impoverimento della struttura produttiva, del lavoro e del tessuto sociale italiano”.
È una analisi che non mi sarei aspettata di trovare in questo libro e ne sono stata piacevolmente sorpresa.
Il lavoro di ricerca è davvero imponente ed è raccontato in modo estremamente semplice e ben scritto. È una lettura ricca di aneddoti e con tanti richiami storici che potrà davvero farci riflettere sulle tante credenze che ognuno di noi ha consolidato sui vari prodotti alimentari. Per me è stato così.
Assegno quattro belle stelle e vi auguro buona lettura.
Interessante, grazie per la recensione
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