Buongiorno a tutti! Eccomi con una nuova edizione del Concorso letterario: In mille parole!
Iniziamo con una carica in più e anche qualche autore nuovo che ha voluto cimentarsi e mettersi in gioco scrivendo racconti di 1000 parole secondo un tema prestabilito.
Tutto è iniziato il
24 Ottobre 2019, quando è partito il concorso letterario, indirizzato a tutti gli autori che avevano voglia di mettersi alla prova e che erano pronti a cogliere ogni occasione per scrivere e farsi leggere. Alex Astrid del blog "Vuoi conoscere un casino" ha deciso infatti di organizzare un concorso per racconti brevi a tema, al quale possono partecipare autori emergenti e scrittori dilettanti. Io, Alex e Alessandro siamo i giudici indiscussi, con l'aiuto di un quarto giudice che cambierà a rotazione.Se volete saperne di più leggete fino in fondo dove troverete anche il link per sapere come funziona, perché il concorso è ancora in atto e ogni due mesi ci sarà un tema differente.
Il tema di questo mese è stato
"L'ultima notte della mia vita"
ed ecco la classifica con i primi tre!
1. "Vincenzo Di Fazio… " di Adelaide J. Pellitteri
...
2. "L'ultima mattina della sua vita" di Alessandro Gnani
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3. "Il carillon" di Massimiliano Agarico
Il racconto vincitore
(che coincide anche con il mio preferito)
"Vincenzo Di Fazio" di Adelaide J. Pellitteri
Arrivo con armi e bagagli, qui non mi mancherà nulla, così come niente mancò mai a mio nonno.
Da quassù, il paese sembra sia a un tiro di schioppo, ma è alla giusta distanza. Finirà che mi chiameranno l’eremita. Mio nonno lo chiamavano così.
Lui qui c’è nato e c’è anche morto.
Non volle mai scendere in paese e nemmeno in città, neppure per venire a vedere come era rinata Palermo distrutta dai bombardamenti.
“In questo fortino - mi raccontava mio padre – il nonno ha accolto e sfamato partigiani e sfollati durante la guerra”. Poi concludeva “In paese dovrebbero fargli una statua d’oro”; mentre mia madre lo prendeva in giro dicendo “non si allontanava mai da lì per non lasciare incustodito il tesoro”, e io giù a ridere con lei. Alludeva alla Cascina che non era certo una baita, e che nonno non dotò mai di alcun confort.
Ero stato io a battezzarla “il fortino” negli anni in cui lì ci giocavo agli indiani. E fortino era rimasto il suo nome per sempre.
Sono il nipote di un eroe e, quanto prima, mi sono ripromesso di andare a parlare con il sindaco per provare a sondare il terreno circa la possibilità di far dedicare a mio nonno almeno una strada. Magari il corso principale che porta ancora il nome dei Principi Trupìa. Blasonati di scarsa nobiltà.
Quale motivazione migliore per dedicare quel corso a mio nonno se non l’aiuto dato a tanti compaesani? Che senso ha mantenere il nome di un casato che invece ha imposto per secoli la sua signoria sfruttatrice?
Ho mille progetti e domani arriverà l’architetto con la squadra per far diventare questo tugurio il mio rifugio di montagna. Sono stanco della città, dei suoi vizi, la sua anima è irrecuperabile, voglio allontanarmene definitivamente. Adesso che, grazie a cinque anni di scivolo, sono in pensione posso ritirarmi in questo pezzo di paradiso. Almeno è questo che conto di farlo diventare.
Ringrazio mio padre che ha tenuto in piedi questa baracca con un minimo di decenza, così, accomodati i bagagli comincio la mia perlustrazione.