Autore: Antonio Iovane
Genere: Romanzo storico
Pagine: 444
Editore: Mondadori
Data di uscita: 12 marzo 2024
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C'è un uomo a Bariloche, ai piedi delle Ande, che ogni
mattina raggiunge la scuola tedesca dove insegna, fa lezione ai ragazzi e per
pranzo torna a casa dalla moglie. Vive lì da quasi cinquant'anni, è
perfettamente integrato, rispettato, ha una solida rete di amicizie. Un giorno,
fuori dalla porta trova ad attenderlo una troupe televisiva americana. «Signor
Priebke?» gli chiede un giornalista. «Lei era nella Gestapo nel '44, giusto? A
Roma?» L'uomo rimane impassibile, sembra non capire. Poi annuisce. Come ha
fatto Erich Priebke, il capitano della polizia tedesca che il 24 marzo 1944
chiamava i nomi dei 335 uomini da condurre all'interno delle Fosse Ardeatine
per essere fucilati, a fuggire in Argentina e vivere indisturbato per mezzo
secolo senza che nessuno gli chiedesse ragione dei suoi crimini? Attraverso un
monumentale lavoro di ricerca, un'appassionata serie di interviste ai
protagonisti della vicenda e materiale del tutto inedito, "Il
carnefice" racconta tre storie: quella della cattura del vecchio nazista
grazie al lavoro di agenti internazionali, l'estradizione e i processi in un
Paese profondamente diviso tra chi chiedeva giustizia e chi invocava clemenza
per un uomo ormai anziano; quella della carriera di Priebke a Roma, del suo
ruolo di predatore di partigiani e della fuga rocambolesca in Argentina dopo la
caduta del Reich; e infine una storia di radici, quelle dell'Italia di oggi,
con le sue contraddizioni e i suoi antagonismi mai superati, e di Antonio
Iovane, che mentre scriveva, indagava ed entrava nel cuore nero della Storia,
si è trovato davanti a una verità perturbante.
La copertina di questo libro, che faccio davvero fatica a
definire romanzo, è per me molto inquietante. I simboli, aquila e teschio, sul
cappello da militare appoggiato ad un mobile mi suggeriscono pensieri e azioni
violenti. C’è poi una frase di Piero Trellini: “Un romanzo impetuoso,
impossibile smettere di leggere”. Ed è davvero così.
Mi ha fatto male leggere questa storia che ancora ha la
capacità di accendere animate discussioni tra opposte fazioni politiche.
L’attentato di via Rasella compiuto dai partigiani viene spesso definito in
senso dispregiativo come un atto inutilmente provocatorio. Un atto
terroristico. Che, secondo alcuni, ha causato l’eccidio delle Fosse Ardeatine.
Ma l’uccisione di 335 persone, prese a caso e tra le quali vi erano anche
carabinieri oltre che ebrei, fu un atto deliberato e fortemente voluto dai
vertici del nazismo. La forza che in quel momento stava occupando l’Italia e
contro la quale combattevano i partigiani. Credo che ognuno debba sentirsi
responsabile delle sue azioni e non di quelle degli altri. Ma passiamo oltre.
Il modo in cui Iovane racconta l’attentato prima, la
selezione delle persone da uccidere per ritorsione, poi, e il modo in cui venne
fatto è agghiacciante:
“La concentrazione
sull’uccidere è del tutto particolare: nessun’altra la supera in intensità.
Ognuno vuol parteciparvi, ognuno colpisce. Per poter vibrare il proprio colpo
ciascuno si fa dappresso alla vittima. Se non può colpire, vuole almeno vedere
come gli altri colpiscono. Sembra che tutte le braccia siano di una sola
creatura. Ma le braccia che “colpiscono” hanno maggior valore e peso. Lo scopo
è tutto. La vittima è lo scopo, ma essa è anche il punto di massima
concentrazione: essa riunisce in sé le azioni di tutti. Scopo e concentrazione
coincidono”.
Alcuni nazisti hanno paura e vorrebbero non sparare ma basta
una chiacchierata con Kappler e il “coraggio” riemerge.
Molto intensa anche la descrizione dell’uccisione di Carretta
da parte della folla imbufalita. Tra la folla, però, c’è Angelo Salvatore che
rifiuta di partecipare al linciaggio. Forse è l’eroe che in ogni libro deve
comparire.
Mi è venuto da pensare, per come erano narrati i due episodi
che la folla inferocita fosse più cattiva dei nazisti delle Fosse Ardeatine ma
non credo siano episodi paragonabili data la motivazione che muoveva i due
gruppi. Da una parte l’esplosione di una pentola a pressione che per molto
tempo aveva covato paura e rabbia, dall’altra l’obbedienza agli ordini.
La storia diviene poi quella della fuga di questi nazisti per
non subire i processi previsti alla fine della guerra. Le complicità che hanno
permesso a questi individui di allontanarsi e rifarsi una vita con le loro
famiglie lontani dalle loro origini, nella maggior parte dei casi. Anche questa
parte è stata per me difficile da digerire. Soprattutto perché il 22 aprile
avevo visto il programma 100 minuti su La7 nel quale si parlava proprio di un
gerarca nazista che doveva essere processato in Francia ed era fuggito in
Italia trovando rifugio in una splendida villa sul lago di Como. La stessa
villa che nel 2005 ospitò anche il protagonista di questo libro. L’autore ha
scelto di non parlare di questo episodio come di tanti altri e le sue scelte
non si discutono, perché il libro è suo. Io non ho potuto fare a meno di
pensare, però, se era proprio necessario che godesse anche di quel beneficio
dato che mai aveva mostrato, come i suoi colleghi del resto, un minimo di
pentimento.
Il libro è scritto molto bene. Le oltre 400 pagine scorrono
velocissime. Come ho detto in precedenza è un pugno nello
stomaco ma sono contenta di averlo letto e ne consiglio caldamente la lettura.
Assegno 4 stelle piene piene.
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