Il tema di questo mese è stato la PAURA e il vincitore è:
Noemi Villaruel
con
Quattro minuti
Stavo per svoltare l’angolo che mi avrebbe condotto alla metropolitana, quando un brivido mi percorse la schiena. L’aria gelida di dicembre giustificava il freddo, ma quella sensazione era diversa, non aveva nulla a che vedere con il clima. Ruotai la testa in varie direzioni, cercando qualcosa. Non sapevo neppure io cosa stessi facendo, ma la sgradevole percezione che qualcosa non andasse penetrava fino alle ossa. Osservai con attenzione una coppietta che correva abbracciata, un anziano zoppicante col suo bastone, dei ragazzi bazzicare in un pub. E poi lo vidi. La sagoma di un uomo all’imbocco di un vicolo buio, una figura alta, longilinea ed inquietante. Non riuscivo a distinguere i lineamenti, il suo viso era simile ad un buco nero pronto a risucchiare la luce intorno a lui, persino i fari di un’auto che passò in quel momento non riuscirono ad illuminarlo, lo oltrepassarono solamente. Nessun movimento, nessuna parvenza di vita, eppure ero sicura che mi stesse osservando. Inghiottì a vuoto, strinsi la borsa al petto e feci un passo indietro. L’uomo ne fece uno in avanti. Il cuore perse un battito, i polmoni smisero di riempirsi d’aria, le mani cominciarono a tremare. Ogni mio passo indietro ne provocava uno in avanti da parte dello sconosciuto. Diedi una sbirciata alle mie spalle. Pochi metri e l’entrata della metropolitana sarebbe stata la mia salvezza. Potevo farcela. Dovevo farcela.Voltandomi, inciampai in una crepa del terreno, maledissi il governo londinese per non riparare le strade e corsi. Non ero un tipo atletico, ma impiegai tutte le mie forze in quello scatto di velocità. Saltai alcuni gradini delle scale e cercai come una forsennata la scheda dell’abbonamento. Sentivo il suo sguardo perforarmi la schiena. Non volevo voltarmi, non volevo scoprire cosa fosse alle mie spalle. Strisciai la card e oltrepassai disperatamente i controlli. Continuai a correre fino alla linea di delimitazione di sicurezza che separava i binari dalla panchina. Nessun vagone. Lo schermo indicava un’attesa di quattro minuti. No, ti prego. Il cervello era in panico, non riuscivo a riflettere lucidamente. La stazione era deserta, d’altronde erano le 2:23 di un monotono mercoledì.