Titolo: I semi dell'odio e della misericordia. Storia della mia famiglia e del suo passato nazista
Autore: Burkhard Bilger
Genere: Saggio
Pagine: 360
Editore: Mondadori
Data di uscita: 16 gennaio 2024
AMAZON
Autore: Burkhard Bilger
Genere: Saggio
Pagine: 360
Editore: Mondadori
Data di uscita: 16 gennaio 2024
AMAZON
Karl Gönner ha un occhio di vetro rimediato sul fronte occidentale durante la Grande guerra, i capelli brizzolati e le dita ingiallite dalla nicotina. Suo nipote Burkhard Bilger, giornalista di lunga data del «New Yorker», se lo ricorda bene. Era un ex maestro, severo ma molto caro ai suoi studenti, ai quali, anziché caramelle, allungava pezzetti di cera grondanti miele da masticare. Nei documenti d'archivio, però, come negli interrogatori e nelle sentenze dei tribunali, Herr Gönner è l'Ortsgruppenleiter della cittadina di Bartenheim, nell'Alsazia occupata dall'esercito tedesco. Un nazista, un invasore. Il complice di un crimine per cui non esiste redenzione. Il tentativo inizialmente incerto di Bilger di ricomporre due figure così diverse in un'unica identità si trasforma via via in una ricerca di più ampio respiro, che prende le mosse dalle motivazioni del singolo per svilupparsi attorno a uno degli interrogativi più inquietanti e dolorosi della storia del Novecento: come ha potuto il popolo tedesco cadere nella trappola della follia hitleriana? Tra passato e presente, tra colpe commesse ed ereditate, tra generazioni diverse, tra Germania e Francia e poi ancora tra Europa e America, la vicenda di Karl Gönner – soldato, insegnante, occupante, prigioniero, imputato, colpevole e però innocente – diventa il paradigma di una lettura dei fatti che trova il coraggio di guardarsi dentro e affrontare le responsabilità personali. Ma nel contempo rifiuta di ridurre la realtà in termini binari, in bianco e in nero, e così facendo di alienarla e deformarla, renderla grottesca al punto di farci perdere la prospettiva, di illuderci che ci sia del tutto estranea e impedirci così di vedere se e quanto siamo vicini a replicarla. Perché il fine ultimo di queste pagine è proprio questo: non accusare né difendere, ma capire chi siamo e – soprattutto – cosa possiamo diventare.
Ho affrontato la lettura di questo libro con molta curiosità.
Non tanto sulla singola storia dell’autore, quanto su come tutti gli abitanti della
Germania, dopo la seconda guerra mondiale, abbiano fatto i conti col fatto di
avere nella propria famiglia uno o più nazisti. Non credo sia stato facile
venire a patti con una cosa del genere. Forse per quello per molti anni sulle
vicende avvenute negli anni della guerra è calato un silenzio fatto di pudore,
vergogna e rimorso.
Anche nella famiglia di cui tratta questo libro gli anni di silenzio sono stati molti. Nella nota iniziale l’autore lo ricorda molto bene:
Questo mi ha fatto molto riflettere. Ho ricordato le testimonianze dei nazisti a Norimberga che ritenevano di giustificare gli orrori commessi affermando di aver semplicemente eseguito gli ordini, come se loro non avessero facoltà di distinguere il bene dal male.
Anche nella famiglia di cui tratta questo libro gli anni di silenzio sono stati molti. Nella nota iniziale l’autore lo ricorda molto bene:
“Come molti uomini della sua generazione, mio nonno è sempre stato restio ad aprirsi. Non ha lasciato diari introspettivi, un testamento, e nemmeno storie di guerra accarezzate e lucidate come uno di quei sassi portafortuna che si tengono in tasca. Voleva dimenticare, non ricordare.”Anche la testimonianza della cugina Karin che viene riportata nel corso del libro è molto forte. Lei, nata nel 1957, fa parte della generazione di tedeschi che si sono ribellati all’amnesia intenzionale dei loro genitori su tutto ciò che ricordava la guerra.
“A ben guardare, avevamo bisogno di sentire quelle storie terribili, e gli ultimi testimoni oculari stavano per venire a mancare”.Si scoprirà nel corso della lettura, dall’analisi che l’autore fa dei documenti processuali, delle lettere scritte dal nonno durante la prigionia, dei verbali degli interrogatori di polizia, dei documenti scolastici e delle testimonianze di chi lo aveva conosciuto, che Karl Gönner aveva cercato di conciliare il credo politico, che pure aveva, con ciò che lui riteneva giusto al di là di quello.
Questo mi ha fatto molto riflettere. Ho ricordato le testimonianze dei nazisti a Norimberga che ritenevano di giustificare gli orrori commessi affermando di aver semplicemente eseguito gli ordini, come se loro non avessero facoltà di distinguere il bene dal male.
Ma il testo non è incentrato su questo. L’autore parte da una panoramica della sua famiglia fin dalla famiglia di origine del nonno. Fantastica la sua bisnonna che faceva la levatrice nel paesino dove abitava e, dato che non c’era un medico vicino, si occupava anche dei malati. E questo suo essere vicina alla vita che iniziava e che finiva la rendeva sensibile al punto da vedere i morti che vagavano per il paese. Le doti di preveggenza erano comunque parte della genetica femminile della famiglia e gli aneddoti sono interessanti e ben narrati.
L’autore racconta di aver svolto per molti anni il suo lavoro di giornalista senza mai scrivere della Germania e della storia della sua famiglia. Forse perché
“La memoria collettiva non è molto incline al perdono. A mano a mano che gli eventi scompaiono dalla vista tendiamo ad appiattirli e semplificarli nella nostra mente fino a ridurre la storia a una serie di favole ammonitrici: delitto e castigo, eroi e antagonisti”.Parallelamente alla storia della famiglia di Karl Gönner viene narrata anche la storia della Alsazia, passata ripetutamente di mano tra Francia e Germania con una conseguente mescolanza di lingue e tradizioni che possono tranquillamente confondere il lettore. A questo proposito mi permetto di dire che, in alcuni punti, il dettaglio storico è stato fin troppo approfondito, ma questo è un parere personale. Magari agli appassionati di storia possono disturbare di più gli aneddoti famigliari che invece io trovo molto appassionanti.
Per esempio quando l’autore spiega di come gli sia venuto il desiderio di conoscere a fondo la storia del nonno solo dopo aver notato quanto del proprio carattere aveva trasmesso ai suoi figli ed essersi, di conseguenza, chiesto quante caratteristiche dei suoi genitori e del nonno avesse ereditato lui. Da lì era nata la domanda:
“Il passato di mio nonno ci stava ancora influenzando? Mi auguravo di no. Nella migliore delle ipotesi, mi dicevo, era stato il complice passivo di uno dei regimi più criminali della storia; nella peggiore, un partecipante entusiasta”.Egli riconosce di appartenere ad una generazione alla quale era stato insegnato a non fare domande sulla guerra perché le risposte potevano essere solo dolorose, autoincriminanti o, peggio, autoassolventi.
Nelle sue ricerche è importante il confronto con la madre. Lei è una storica interessata in modo particolare al patriottismo e al pregiudizio e ai modi in cui questi possono amplificarsi e distorcersi a vicenda. Nei suoi ricordi affiorano alcuni commenti antisemiti che ricorda di aver sentito, raramente, fare dal padre. La domanda che più l’aveva tormentata era: “Come aveva potuto essere così cieco …da credere che i nazisti potessero costruire un rapporto tollerabile tra il popolo tedesco e gli ebrei?”
Dallo studio dei documenti rinvenuti nei vari archivi è emerso in maniera drammaticamente evidente come ai tempi di Hitler la genealogia fosse più di un semplice dovere. Era diventata, infatti, una ossessione nazionale, una specie di religione.
Via via che legge queste pagine ingiallite, incontra persone che hanno conosciuto il nonno e raccoglie le loro testimonianze, l’autore si convince della bontà del lavoro che sta facendo. Cancellare la storia ha un grande svantaggio perché oltre agli aspetti difficili da sopportare vanno perse anche tante cose belle. Il fatto poi è che più ti addentri nella storia più questa ti riporta indietro, come un gomitolo di spago in un labirinto. E così ci si rende conto che per capire gli anni del nazismo bisognava prima comprendere la povertà estrema che si era abbattuta sulla Germania dopo la Grande Guerra.
La caratteristica che emerge di Karl Gönner consisteva nel fatto che lui era un idealista e quindi, quando credeva in qualcosa ci credeva così tanto da volere che fosse perfetta. Ecco perché nel paese alsaziano in cui rappresentava l’autorità nazista si permise comportamenti diversi da quelli che arrivavano dal comando di Berlino.
Mi è particolarmente piaciuta, inoltre, la figura di Emma, la moglie di Karl. Una donna forte. Che si rifiuta di seguire il marito a Bartenheim perché, sostiene, non ha senso andare dove non ci vogliono. In quel paesino il marito era maestro elementare che, non era un semplice lavoro da insegnante sotto Hitler. Le scuole elementari erano cruciali per la macchina della propaganda nazista, infatti, e anche questo viene spiegato molto bene. Lei, che pure potrebbe insegnare, rimane ad affrontare la guerra da sola coi figli, aspettando il ritorno del marito nei fine settimana. Mi è parso strano che il marito avesse accettato questa sua scelta e non le avesse imposto di seguirlo, ma l’ho apprezzato.
Alla fine della guerra Karl visse la prigione in seguito ad alcune testimonianze poi risultate fondate solo su rancori. Lui sosteneva “di sentirsi una specie di sonnambulo, e di aver messo in secondo piano la sua famiglia nel tentativo di seguire la dura strada del dovere, ubbidendo agli ordini senza violare la propria coscienza”.
Emma faceva molta fatica ad accettare quella spiegazione, ma rimase al suo fianco.
È un libro davvero lungo da leggere per tutti i rimandi storici ben esplicitati e dettagliati che non riguardano solo la Germania ma anche gli Stati Uniti dove l’autore è cresciuto. Interessanti i rinvii a come erano considerati i neri americani che combatterono in Europa tra le forze alleate oppure gli studi di eugenetica iniziati negli Stati Uniti, solo per citarne alcuni.
Insomma è un libro dai due aspetti, storico e biografico, che si intrecciano dando maggior spazio ora a uno e ora all’altro. Ma è anche un libro che prende per mano e aiuta a meditare su quello che è stato, su come si è arrivati a tanto, e poi fa riflettere su come si può evitare che ciò che è stato non possa più ripetersi. È scritto davvero bene e quindi lo consiglio senz’altro.
La conclusione, strepitosa, è data da un messaggio che Karl Gönner inviò dalla prigione al figlio maggiore nel giorno del suo ventesimo compleanno. Un messaggio che non mi aspettavo e che mi ha lasciata davvero incantata e piena di dubbi.
Assegno quattro belle stelle e vi auguro buona lettura.
Recensione di
Nessun commento:
Posta un commento
I vostri commenti alimentano il mio blog!
Se quello che ho scritto ti è piaciuto, lascia un segno del tuo passaggio. Te ne sarò grata.