giovedì 4 febbraio 2021

Blogtour - “Di fronte a me - Una storia di terrore, amore e fede” di Pietro Fratta - Estratto + Giveaway

Titolo: Di fronte a me. Una storia di terrore, amore e fede
Autore: Pietro Fratta
Genere: Narrativa
Pagine: 75
Editore: Self
Data di uscita: 23 dicembre 2020

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Un padre, medico, sottrae alle cure ospedaliere il proprio figlio, piccolo, amatissimo e gravemente malato, portandolo con sé in un luogo caro alla sua infanzia, un casolare in campagna. In questa ambientazione a tratti bucolica, a tratti dura, il padre disperato si prende cura del piccolo, divenuto vegetale e privo di speranze di guarigione. Scopo di tale fuga è ottenere una miracolosa guarigione del figlio, attraverso la costruzione di una piccola chiesa di pietre, da erigersi con la sola forza delle mani paterne. Il racconto, incentrato sul gravissimo dolore del genitore e sulla sua disperazione (generata da una consapevole impotenza), diviene occasione per numerose dissertazioni filosofiche circa la fede, il dolore, la speranza, la redenzione dell’uomo, l’amore paterno, la sofferenza umana nella solitudine. Ma la sua solitudine è minacciata da una presenza maligna che, incarnatasi nell'aspetto di un bambino vagamente somigliante proprio al figlio, lo incita a porre fine a ogni speranza e negare Dio e la preghiera.

Sito web del romanzo - Di fronte a me
Blog autore: Pensieri correnti

Calendario

01/02/21 - Estratto #1 - La libreria di Beppe
02/02/21 - Itervista autore - Maria Cristina Buoso
03/02/21 - Estratto #2 - Il bosco dei sogni fantastici
04/02/21 - Estratto #3 - Il Mondo di SimiS
05/02/21 - Recensione - Penso dunque leggo 
06/02/21 - Recensione - La sabbia nella clessidra

Giveaway


Estratto #3

Lo ha cresciuto da solo, il suo ragazzino. Ma una donna – moglie e madre – è stata il principio che ha legato i due piccoli uomini. Ogni gesto buono e ogni felicità in famiglia sono sempre stati dedicati a lei, quasi che nel suo nome crescesse il rapporto tenace di padre e figlio.
È morta in piena forza. Pur se emaciata e ingrigita aveva il sorriso certo, l’abbraccio inviolabile del cielo nello sguardo. Anche l’ultimo giorno. La conobbe solo pochi anni prima e riconobbe in sé stesso il timore, in lei la presunzione di una volontà estrema e superiore a tutto; non si spiega altrimenti la facilità con cui fu sedotto. Dinanzi a quella ragazza la libertà del suo colto scetticismo si fece d’un tratto ristretta e stantia. Indietreggiò dinanzi a tale bellezza; cercò di evitarla; ma fu la bellezza a coinvolgere lui, sciocco, brutto, testardo, molto più vecchio.
La follia non è sempre incoscienza. La amò follemente e con gioia. Lei aveva fede, devota, giovanissima; così minuta, gli diede il peccato e la felicità con una forza che diceva non appartenerle, ma che la attraversava e lo contagiava.
Lo scetticismo cedette del tutto allorché nacque il figlio. Nella sofferenza, nel rischio di morte della madre. Era tutto molto semplice: frutto di ogni azione e pensiero, il piccolo doveva nascere, era già definito e venne fuori piangente, arrabbiato, e lei sopravvisse un po’. Il mondo, la famiglia, rinascono con un bambino.
Non fu la malattia a ucciderla ma la vita. È tuttavia rimasta con la sua assenza; mentre lui ha provato a non trasmettere al figlio il dolore. Lo ha cresciuto con la speranza; lo ha visto crescere ogni giorno. Ha iniziato presto a parlargli, a sorridergli con lo sguardo; ha trovato una complicità ancor più sottile nei giochi disarmanti dell’infanzia. E suo figlio cresce ancora in lui. È il senso della sua esistenza.
La vita sa punire anche con la gioia. Ha coinvolto lui e una ragazza rivelandosi nella meraviglia. Il figlio è sempre stato entusiasta d’ogni cosa. È giocherellone e vivace; è ironico. Sa ridere col padre proprio come la mamma. È difficile ridere con un burbero o scherzare con la sua austerità, ma il figlio riesce a irridere e rimpicciolirgli la stazza robusta e tutta seria, gli riaccende i colori addosso, solitamente scuri.
Qualcuno ha voluto poi sorprendere l'uomo riferendogli che il bambino aveva smesso di esistere. Bugia miserevole. In classe svolgeva un compito di algebra; il giorno prima aveva studiato fino a sera di malavoglia, il babbo lo aveva rimproverato imponendogli di insistere. Sembra che il compito
 
stesse riuscendogli bene. D’un tratto ha chiuso gli occhi: è scivolato a terra, raggomitolandosi. E s’è irrigidito nello stato attuale.
Smettere di esistere. Smettere l’esistenza, come un abito che non aderisce più. Il figlio non risponde agli stimoli: il suo sguardo è sempre altrove; non pensa; sta perdendo la grazia; è evidente il lavorio alacre della morte sul profilo e il colore della pelle. La dignità deve sussistere su un corpo forte e quel ragazzino non ce l’ha più.
Ora, pare ancora giusto poter provare amore anche se non corrisposto, anche se scivola su una superficie di carne; è pure tenero riconoscere ancora un’anima e perfino un carattere a chi ispira un sentimento: ma questo accade anche con le bestie, che sempre bestie restano. Si può dunque riconoscere un figlio benché non lo sia più; ma lo si rimpiange proprio perché è sparito ed è esaurito il suo candore. Si può ancora abbracciarlo, stringerlo, ma non è possibile risvegliarlo. Il suo torpore è troppo pesante.
Per contro circolerebbe l’idea che la fede aiuti a tracciare un senso agli eventi più dolorosi; ma è utile per chi resta cosciente, non certo per chi dorme o perisce. Pare che la fede trasformi la rassegnazione in un pensiero meno bruciante e che allieti anzi ogni vuoto. È corollario di un saggio tacere; il paradosso di un’indifferenza addolcita. V’è un paradiso che attende e un bene e un affetto solo momentaneamente interrotti. C’è un motivo indefesso che giustifica tutto, seppure incomprensibile.
Invece lui scettico, lui padre, vede solo un ragazzino straordinario – nato da un incontro d’amore – che ha cessato di divenire: stava scrivendo numeri e ha chiuso gli occhi; eppure il suo sonno è così presente da alterare la realtà.
La verità – gli hanno fatto intendere colleghi, amici, in ospedale – è che la presenza del figlio è divenuta ingannevole. Avrà pure ancora un senso agli occhi di chi lo ha amato, ma nei fatti non è più. La coscienza s’è spenta. È vero, il vecchio scettico potrebbe trovarvi una ragione: la sua famiglia ha convissuto con la morte e la nascita insieme. E forse ha visto la nascita della vita in seno alla morte della moglie, il suo amore. E proprio lei, fino alla fine, gli ha rammentato che tutti hanno un’anima; anche lui. Anima e paternità indissolubili. Ora il figlio ha cessato di essere tale, e l'uomo è solo: come se il cielo gli avesse strappato di mano i doni che gli aveva concesso, lasciando un abbaglio al posto del sole. Gli ha reso il corpo del figlio quale involucro, svuotandolo. Ma è stato il padre, non il cielo, a farlo crescere. Il cielo non è il padre, non ha legami, non ha diritti da riscuotere.
O forse l’anima non permane ma si consuma in fretta con il corpo: è il corpo. Lui si ribella a tale concetto: ha tratto dalla fede una sintesi razionale accordata allo spirito. Una fede che vive nei sensi ed esercita il pensiero; dopotutto perfino la Parola è capace di incarnarsi. Esiste forse una logica nell’avvenimento ultimo che sta sconvolgendogli la vita. In risposta la sua
 
fede non si rassegna al mistero: vuole muoversi. La fede è movimento.
Quel figlio è suo. Ignorando voci inconsistenti che propinano verità e interpretazioni, lui solo reagirà nella verità. Chiede e gli sarà dato; o restituito. Il ragazzino è la sua vita. Lo ha preso con sé e se l’è portato via, di nascosto, facendolo uscire dall’ospedale. Per soddisfare la sua giustizia. Per provare a essere ancora padre.
È arrivato alla vecchia cascina di legno per risolvere la faccenda a modo suo. Ha posto il ragazzino sul letto dopo una veloce spolverata intorno, su lenzuola portate via da casa. Lo ha accarezzato, osservato e ha ritrovato sempre gli occhi azzurri e spalancati, vuoti come il cielo, aperti al nero immenso. Guardandolo, la forza gli è venuta meno. Le sue intenzioni son morte prima di agire perché il cielo non si può spegnere. Ripensando alla moglie, madre del piccolo, s’è rammentato di quella volontà estranea che allora lo amò e gli donò la vita. Se quella volontà lo attraversa ancora, tutto potrà accadere.
S’è fermato. Ha continuato ad accarezzare il figlio. S’è promesso che lo avrebbe ripreso con sé con la dignità. Che avrebbe adoperato le mani in altra maniera. È uscito dalla casa: ha osservato lo spiazzo verde iniziando già a smuovere ricordi. Ha rammentato la piccola mania, da bambino, di cercare buffi sassi bianchi, dalla forma di enormi confetti. Aveva interrotto il gioco solo a fine estate; ha deciso ora di continuarlo. Non era un’azione insensata allora, non lo è nemmeno adesso. È un movimento continuo nel quale ogni pensiero si dilata e cerca di armonizzarsi durante la strana ricerca.
Le pietre si ammucchieranno fino a quando non s’alzerà lo sguardo per vedere una cima appuntita. Ogni pietra è un gesto e un fatto; così vuole intendere e dimostrare con la fatica.
Avrà una risposta: scavando, scavando e scendendo troverà una parola alta.
Un miracolo.

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