lunedì 22 settembre 2025

Recensione - "Baracca e burattini" di Dario Buzzolan

Titolo:
Baracca e burattini
Autore: Dario Buzzolan
Genere: Narrativa
Pagine: 396
Editore: Mondadori
Data di uscita: 4 febbraio 2025

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Elle fa l'attrice con convinzione e con altrettanta convinzione dipende da sostanze psicotrope. Alle sue spalle c'è la storia di una famiglia che si allunga dal Secondo conflitto mondiale sino al nostro presente. Dal nonno Ermes in avanti, un solo destino: quello che spezza, che consuma, che frantuma. Nessuno sa veramente restare (metaforicamente e non) dov'è, e in effetti ricorre di generazione in generazione l'espressione "fare baracca e burattini". Nessuno sa tenere le persone che ha amato o quello che ha costruito. Tanto più il padre di Elle, Ranieri, che crede, da medico, di poter sollevare dal dolore e dalla vita i malati terminali e si trova al centro di una campagna mediatica che, nel corso del tempo, lo svilisce ("il medico che voleva giocare a fare Dio") e lo espone a relazioni pericolose. L'unico luogo che calamita episodicamente le tre generazioni è la Casa Blu, una capanna vicino al mare che, con il tempo, è diventata un rifugio, uno studio, una residenza. Intorno alla Casa Blu ruotano i non detti e il buio della famiglia, ed è lì che con fatica ma anche con determinazione si riesce a illuminare lo strascico di violenza, di abbandoni e rinascite che Elle sta ancora scontando sulla sua pelle.

“Fare su baracca e burattini” è un modo di dire che significa raccogliere le proprie cose e andarsene in un altro luogo. È stata una scelta molto accattivante questo titolo. Anche la storia famigliare narrata dal libro lo è, suddivisa in brevi capitoli ognuno dei quali dà la voce e la versione di ogni protagonista. In questo modo si impara piano piano a conoscerli tutti e nascono, inevitabilmente le simpatie e le antipatie per i vari personaggi. I vissuti sono tanti e indubbiamente importanti. Mi è capitato di provare pena, rabbia e schifo, a seconda dei momenti. Non ricordo di aver provato anche gioia, ma spero sia solo una mia dimenticanza. Mi è piaciuto molto lo stile narrativo, i detti e non detti, le rivelazioni improvvise. Non c’è un personaggio di cui innamorarsi per la sua perfezione. Sono tutti realisticamente fatti di luci e ombre, in percentuali ovviamente variabili, e tutti, a tratti, richiamano simpatia o antipatia. Mi sono appassionata a questa storia desiderando di poter continuare la lettura più di quello che il mio tempo mi consentiva di fare e ho trovato geniale il finale. Quel dubbio buttato lì che ti fa venire la sensazione di esserti fatta sfuggire qualcosa o di non aver ben capito. Magari invece è solo un gran bel momento di teatro che chiude una storia dalle tante sfaccettature lasciando il lettore prima speranzoso e poi disorientato ma, nel mio caso, mi tengo buona la speranza.

Il tema in primo piano è il dibattito sull’eutanasia, ma non mi sembra secondario quello sulle relazioni che si intrecciano all’interno di una famiglia, nella quale i padri sentono la necessità di tenere ben salde le redini del comando.
Se devo trovare un neo, ecco direi che esplicitare i nomi dei farmaci psicotropi di cui fa uso Elle è una scelta che io non avrei fatto giusto per non dare spunti. È anche vero che si tratta di nomi piuttosto noti e dunque forse è una remora inutile quella che mi sono fatta.
Solitamente non parlo mai delle copertine dei libri che leggo. Questa mi è molto piaciuta. Questa donna di profilo che guarda in alto. La tecnica pittorica mi ha trasmesso l’idea, magari sbagliata, che lei fosse in disordine. I suoi occhi mi sembrano gonfi, forse di lacrime o per mancanza di riposo. Insomma una donna che non si trova in una bella situazione ma che non abbassa la testa e continua a guardare oltre. Mi ha trasmesso davvero tanto questa immagine e ci riconosco in pieno una delle voci narranti: Elle.
Che dire, non volendo spoilerare, mi fermo qui assegnando cinque stelle e consigliandovi questa bella lettura.

 


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