lunedì 29 gennaio 2024

Recensione - "Lezioni sulla felicità" di Robert Waldinger e Marc Schulz

Titolo:
Lezioni sulla felicità
Autore: Robert Waldinger e Marc Schulz
Genere: Saggio, Psicologia
Pagine: 372
Editore: Mondadori
Data di uscita: 4 luglio 2023

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Che cosa rende felice una vita? Che cosa ci consente di condurre un'esistenza appagante e significativa? Secondo l'Harvard Study in Adult Development, lo studio sulla vita umana più longevo mai condotto e attualmente diretto da Robert Waldinger e Marc Schulz, la soluzione è finalmente a portata di mano. Avviato nel 1938, lo studio ha coinvolto finora tre generazioni di partecipanti, quasi duemila persone che nell'arco di oltre ottant'anni hanno riempito centinaia di questionari, si sono sottoposte a continue misurazioni, hanno donato alla ricerca campioni di sangue e DNA. Lo studio ha analizzato elettroencefalogrammi e risonanze magnetiche, ha controllato cartelle cliniche e raccolto dati sul peso, l'attività fisica, il livello di colesterolo e il consumo di alcolici; ha esplorato le scelte di vita, gli ambienti di lavoro, gli hobby di soggetti diversi per genere, cultura, contesto socioeconomico, orientamento sessuale. Dall'incrocio di questi dati è emerso un fattore cruciale, che spicca fra tutti gli altri per la costanza e l'efficacia con cui si associa al benessere fisico e mentale, nonché alla longevità. Questo fattore sono le relazioni umane. Sono i rapporti con i nostri partner, i nostri familiari, gli amici e i colleghi ad assicurarci una vita buona e lunga. Sono i legami che sappiamo costruire giorno per giorno a garantirci una salute soddisfacente e duratura. Perché le relazioni ci proteggono dalle difficoltà, ci aiutano a superare i momenti più bui, danno senso e prospettiva alle nostre giornate. Gli uomini sono animali sociali, e creare legami è un loro bisogno primario insopprimibile. L'Harvard Study non solo lo conferma, ma attraverso le testimonianze dei soggetti coinvolti suggerisce metodi, strategie e soluzioni per vivere relazioni gratificanti e migliorare le nostre vite. Con grazia, empatia e rigore scientifico, Waldinger e Schulz ci insegnano che «vivere bene non è una destinazione. È il cammino stesso, e le persone con cui lo percorrete».
Leggere questo saggio mi ha fatto tornare studentessa di psicologia. Questo enorme studio longitudinale, iniziato nel 1938 e ancora in corso, è davvero spiegato in modo molto dettagliato e semplice tanto da rischiare di essere banalizzato nei contenuti ma è di sicuro comprensibile a chiunque decida di affrontarne la lettura.
Nel corso di oltre ottant’anni sono state raccolte quantità incredibili di informazioni di diverso tipo: interviste, dichiarazioni, campioni di sangue e di DNA. Tutto questo lavoro ha permesso di vedere quali fattori sono andati a influire il livello di felicità provato da ogni partecipante nei vari momenti della propria vita.
Incredibilmente viene dimostrato che il fattore che più agisce in favore dello stato di felicità non sono i soldi e nemmeno un ottimo stato di salute.
Ciò che davvero ci rende persone felici è la nostra capacità di relazionarci agli altri: amici, famigliari, colleghi e non solo. Persino le due chiacchiere che riusciamo, o meno, a scambiare con il barista che ci prepara il caffè il mattino o con le persone che viaggiano con noi sui mezzi pubblici si sono dimostrate fondamentali.
Lo diceva pure Aristotele che l’uomo è un animale compagnevole e se il fine della vita umana è la felicità non ci resta che custodire e mantenere efficiente questa nostra caratteristica.
È vero che la salute è importante ma è altrettanto vero che la solitudine crea problemi di salute:
“Quando si è soli si soffre. E non lo diciamo solo in senso metaforico. La solitudine ha un effetto anche sul corpo. La solitudine è associata a una maggiore sensibilità al dolore, a una riduzione dell’efficacia del sistema immunitario, a una diminuzione della funzionalità cerebrale e a un sonno meno riposante…per le persone anziane la solitudine è due volte più nociva dell’obesità…la solitudine cronica aumenta del 26 per cento le probabilità di morte…esiste una relazione tra solitudine, salute più precaria e minor cura di sé nei giovani adulti.”
“Se ci sentiamo disconnessi dagli altri sul luogo di lavoro (ad esempio), vuol dire che ci sentiamo soli per la maggior parte delle nostre ore di veglia, il che è un problema anche per la nostra salute. Come abbiamo già detto, la solitudine aumenta il rischio di morte quanto il fumo o l’obesità.”
Non è detto che la colpa della nostra solitudine sia sempre degli altri. È importante mettersi in discussione e impegnarsi per favorire la socializzazione ad ogni livello.
Nel libro vengono suggeriti modi per riconoscere la qualità e la quantità delle nostre relazioni e altri per favorire il modo di rapportarsi agli altri.
Ho trovato assolutamente condivisibile, nel capitolo dedicato a come le relazioni intime plasmano la nostra vita, la citazione di Madeleine De L’Engle:
“Quando eravamo piccoli pensavamo che una volta cresciuti non saremmo più stati vulnerabili. Ma crescere significa accettare la vulnerabilità. Essere vivi è essere vulnerabili.”
La trovo molto significativa in un mondo dove se non sei perfetto non vali e tutti si sentono in diritto di fartelo notare e di rimproverartelo. Mostrare le proprie debolezze non è ammesso e quando non si riescono più a nascondere il rischio di gesti inconsulti è altissimo. Ecco, questa scrittrice statunitense lo ha detto in modo assolutamente chiaro: solo la morte ci rende invulnerabili. Se solo tanti ragazzi se ne rendessero conto.
Purtroppo, invece, spesso siamo intrappolati da schemi di pensiero per liberarci dei quali è fondamentale avere una visione più ampia di una data situazione. Magari occorre spostarsi dalle proprie solidissime convinzioni. Un insegnamento Zen che il testo cita, riguarda l’approcciarsi agli eventi come se fossero sempre situazioni che affrontiamo per la prima volta. Il maestro Shunryu Suzuki sostiene infatti che:
Nella mente del principiante ci sono molte possibilità, mentre in quella dell’esperto ce ne sono poche.”
Un dato emerso, avendo studiato diverse generazioni di persone, anche appartenenti alle stesse famiglie, è che in epoche diverse e molto eterogenee come sono state quelle del tempo di guerra e guerra fredda in cui era molto forte la paura di un conflitto nucleare, o quella più recente degli anni ’90 e perfino quella dei nostri giorni, le soluzioni efficaci per migliorare le relazioni sono rimaste comunque sempre le stesse.
Sia i genitori che si preoccupavano dell’effetto che poteva avere la televisione sui figli, sia quelli nelle cui case entrava internet, sia quelli di oggi che assistono a cambiamenti culturali velocissimi, possono solo dare attenzione ai loro figli.
“L’attenzione è la materia di cui è fatta la vita, e il suo valore non dipende dall’epoca storica in cui si vive… Il tempo e l’attenzione non sono qualcosa di cui possiamo fare rifornimento. Sono la nostra stessa vita. Quando impieghiamo il nostro tempo e la nostra attenzione, non stiamo semplicemente spendendo e pagando: stiamo dando le nostre vite.”
D’altronde anche Simone Weil sosteneva che l’attenzione era la più basilare forma d’amore.
Ho trovato anche molto interessanti le osservazioni fatte sulla terza età e sulla condizione femminile che è un argomento al quale sono molto sensibile.
Per quanto riguarda le donne questo studio ha confermato come ancora oggi, in termini di tempo, il carico delle responsabilità famigliari grava ancora soprattutto su di loro anche se c’è stata una rivoluzione nel ruolo che le donne ricoprivano al lavoro.
Devo dire che è un libro che lascia molto al lettore anche se, per essere più facilmente fruibile, dovrebbe forse essere un pochino asciugato perché taluni dati troppo dettagliati potrebbero affaticare chi non è addentro alla materia.
È comunque ben scritto e davvero interessante. Leggerlo mostra come moltissimi partecipanti allo studio abbiano dichiarato che la cosa che più dava loro piacere nel loro ruolo era di essere praticamente costretti a prendersi del tempo per guardarsi dentro. Ecco. Quanti di noi si prendono il tempo per fare la stessa cosa? Credo sia importante chiedersi se si sta percorrendo la via che si vuole percorrere e lo si sta facendo nel migliore dei modi.
Per questo motivo ne consiglio la lettura ed assegno cinque belle stelle.
Buona lettura.

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