martedì 9 maggio 2023

Recensione - "Tornare dal bosco" di Maddalena Vaglio Tanet


Titolo:
Tornare dal bosco
Autore: Maddalena Vaglio Tanet
Genere: Narrativa
Pagine: 272
Editore: Marsiglio
Data di uscita: 28 febbraio 2023

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Il bosco è il bosco, la montagna è la montagna, il paese è il paese e la maestra Silvia è la maestra Silvia, ma è scomparsa. In una piccola comunità agitata dal vento della Storia che investe tutta l’Italia all’inizio degli anni Settanta, Silvia, la maestra, esce di casa una mattina e invece di andare a scuola entra nel bosco. Il motivo, o forse il movente, è la morte di una sua alunna. Non la morte: il suicidio. La comunità la cerca, ma teme che sia troppo tardi, per trovarla o per salvarla, e in qualche modo che queste due morti siano una maledizione. Il paese è di montagna e le paure e i sentimenti, che pure non possono essere negati, non possono nemmeno essere nominati. Teme il paese il contagio di una violenza tutta umana e mai sopita, una violenza che dopo due guerre mondiali si è trasfusa in una guerra civile, politica. La maestra però non si trova e il paese, per continuare a vivere e convivere con il lutto e l’incertezza, si distoglie. In questa distrazione, Martino, il bambino che non è nato nel paese e nemmeno è stato accolto, tagliando per il bosco incrocia un capanno abbandonato, e nel capanno, color della muffa e dorata come il cappello di un fungo, sta la maestra. Il bambino non dice di averla trovata, e la maestra non parla. Ma il bambino torna e la maestra, in fondo, lo aspetta. 
“Il bosco è il bosco, la montagna è la montagna, il paese è il paese e la maestra Silvia è la maestra Silvia, ma è scomparsa.”
Mi è capitato di leggere questa frase in un articolo che parlava dei finalisti del Premio Strega e ho dovuto assolutamente leggere questo libro anche se stavo cercando informazioni su un altro di quelli in finale. Che dire? È una storia assurda come solo le storie vere sanno essere. Ma è una storia che ti scava dentro, specie se l’età della lettrice è tale da permetterle di conoscere l’epoca di cui si parla e le mentalità chiuse che si ritrovavano nei piccoli paesi di provincia. Quella mentalità che ancora si trova ben radicata in alcune zone. La protagonista indiscussa della storia è la maestra Silvia che, saputo del suicidio dell’alunna tanto amata, improvvisamente sparisce senza lasciare traccia. Inutilmente viene cercata per giorni senza alcun risultato. Ci si convince che abbia voluto morire anche lei sopraffatta dai sensi di colpa. Ma davvero poteva rimproverarsi di qualcosa? Si viene accompagnati a seguire il corso dei pensieri della povera maestra, che credeva davvero di aver fatto un buon lavoro con i suoi bambini,e si soffre con lei. Si sentono proprio a pelle i suoi sensi di colpa frutto di una educazione molto rigida. Esemplificativo il suo ricordo delle suore presso le quali aveva studiato che si materializzano per rimproverarla per quanto accaduto. Sembrano volerle rinfacciare che, nonostante lei giudichi i loro metodi molto severi rispetto ai suoi, nessuna delle alunne delle suore si era mai tolta la vita mentre a lei era successo e quindi doveva aver sbagliato lei e non loro. Insomma Silvia si è nascosta al mondo per elaborare questi pensieri che non sembrano lasciarle via d’uscita alcuna che non sia il lasciarsi morire.
Sembra volerlo fare senza ricorrere a metodi violenti ma, semplicemente, rifiutando la vita e aspettando di vederla andarsene con estenuante lentezza.
La maestra è nascosta in un bosco che sembra impenetrabile ai soccorritori locali. Forse il bosco non è fatto di alberi ma di credenze popolari che si intrecciano con la cultura contadina, montanara e religiosa. Un groviglio che non permette di vedere vie d’uscita a chi è dentro, né ingressi per chi è fuori e quindi la solitudine dell’individuo che è volutamente prigioniero tra gli arbusti è completa e invalicabile. 
Non è così per chi è estraneo a quei luoghi e a quella cultura. Mancando determinati condizionamenti culturali, si riesce ad affrontare le situazioni più complesse in modo diverso e a trovare quel varco che permette di accedere al rifugio segreto in cui Silvia si sta lasciando andare e confondendo con la natura attorno a lei.  

Martino viene dalla città e il paesello gli sta stretto, non ha le paure dei suoi compagni e si inoltra nel bosco fino a trovare qualcosa che non si aspettava di trovarsi davanti. Non in quelle condizioni almeno. Eppure non si spaventa e, anzi, si prende cura di questa creatura che sembra aver conservato così poco dell’essere umano che era, anche se non è la sua maestra, quindi non per affetto ma per una pietas antica senza condizionamento alcuno che ogni essere umano dovrebbe provare per un suo simile in difficoltà.
Metaforicamente possiamo anche immaginare che mentre Silvia sta concentrandosi solamente sugli errori che ritiene di aver commesso negli anni di insegnamento questo bambino, che le allunga un pezzo di pane o un giornalino per tenerla legata alla vita, rappresenti tutte le cose buone che ha fatto nello stesso periodo. Tutto sta a vedere se Silvia vorrà vedere quello che Martino le mostra con ogni sua azione. I due piatti della bilancia vengono così riportati a un equilibrio che permette di dare un finale ad una storia che sembrava non doversi mai concludere. A corollario le piccole storie che caratterizzano ogni paese, dai giochi proibiti dei bambini agli incontri segreti degli adulti. Insomma un libro, ben scritto e ben editato, che fa tanto pensare e che si legge presto presto perché fa nascere la curiosità di capire cosa succederà alla povera Silvia colpevole di amare tanto i suoi bambini.
“…di bambini dei quali – come scriveva Simona Vinci, al suo esordio – non si sa niente, se non che sono gli unici a conoscere quanta realtà ci sia nelle fiabe, quanto amore stia nella paura, e quante sorprese restino acquattate nel bosco”.
Assegno quattro belle stelle e vi consiglio di leggere con attenzione questo libro per coglierne ogni sfumatura.
Buona lettura.

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